I giunchi, la piena e la politica bella
Dopo la riflessione sul caso Mirra e altri pezzi d’autore – che dalla concretezza di un fatto di cronaca risalgono ai principi e valori fondanti il nostro stare assieme – lo storico Andrea Ghiringhelli torna oggi sul famoso invito ‘Indignatevi’ dell’intellettuale francese Stéphane Hessel. In questi anni, più volte, ci siamo chiesti perché mai gli attori protagonisti sul palcoscenico della politica fatichino così tanto a reagire di fronte a uno scandalo, mentre l’opinione pubblica guarda attonita e scrolla il capo, aspettando un cenno. Qualcuno che sulla scena dica: “Signori, così non va”. Un tempo il cittadino manifestava il proprio dissenso ‘solo’ sui giornali. Ma era necessario un certo impegno nel prendere penna e calamaio, lettera e francobollo. Oggi lo può invece fare più agilmente e palesemente attraverso i social. Senza alcun dubbio l’indignazione può quindi correre e travolgere con maggior potenza chi si trova nell’occhio del ciclone e finge di essere altrove, risultando molto più visibile. Eppure… se pensiamo al Ticino degli ultimi mesi, taluni politici sotto tiro non è che abbiano mutato più di tanto il loro atteggiamento. Tirano diritto, si giustificano, si autoassolvono, puntano il dito verso altri. Il tutto restando ben attaccati alla cadrega: come se nulla fosse, come se lo scranno fosse spalmato di Cementit. Perché mai? Perché vale sempre la logica del “piegati, o giunco, che passa la piena”. Essi continuano così a speculare sul fatto che una polemica non possa durare troppo a lungo. Prima o poi intervengono noia e disattenzione, l’importante è rimanere in sella fintanto che i venti spirano tempestosi. Poi, anche fatti più scandalosi lentamente iniziano a non apparire più tali. Cosa genera questo atteggiamento? Il crescente distacco dei cittadini da certa politica. Ecco perché le percentuali di taluni partiti finiscono per assottigliarsi. Infatti, se dopo un po’ nessuno più protesta o s’indigna, è solo perché, deluso e amareggiato, ha deciso di volgere sguardo e interessi da un’altra parte, magari a qualche altro orticello. Nella peggiore delle ipotesi il deluso stacca la spina e va a infoltire la fitta schiera degli indifferenti, di coloro che finiscono per rinunciare persino a esercitare quel sacrosanto diritto/dovere di voto. “Perché tanto – già sentite frasi del genere? – decidono e fanno quello che vogliono!”. È quindi vitale per la democrazia, se è necessario indignarsi, di tornare a farlo, ma poi anche di incanalare la delusione in energia positiva, impegnandosi affinché le cose cambino. Quei politici-giunchi raddrizzati, che predicano bene e razzolano male, vanno messi in discussione e, se del caso, sostituiti alle urne. Ma non va dimenticato anche di impegnarsi concretamente come singoli cittadini intervenendo nel dibattito sui grandi temi del nostro tempo. Temi grandi e grandissimi. Uno fra tutti, che sta prepotentemente tornando in auge, è quello del mito della crescita continua, fondato sull’esigenza che l’economia debba produrre sempre più consumi (e se necessario sempre più debiti); insomma quello di una crescita infinita in un pianeta dalle risorse finite. Un tema forte, che tocchiamo con mano nelle sue derive anche qui da noi. Ad esempio col traffico e l’inquinamento in continua ascesa. Fino a quando continueremo ad allargare strade, autostrade e gallerie, sperando nella pioggia e nel vento, quando arrivano i picchi di ozono e di polveri fini? Ecco perché è bene indignarsi, ma allo stesso tempo farsi sentire, affinché alcuni importanti dati fondamentali e fondanti il nostro stare assieme cambino davvero, grazie alla spinta dal basso. Non disarmiamo, indigniamoci e agiamo. Questa – e non quella dei cadreghini – è la politica bella.