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Bergoglio benedice sorella morte

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Roma – Allora si può anche morire, se lo dice il papa. In una lettera ai partecipan­ti al convegno sul “fine vita” della Pontificia Accademia, Jorge Bergoglio ha usato parole inusuali, sinora non udite dalla bocca di un capo della Chiesa cattolica: è dunque “moralmente lecito – ha scritto rinunciare all’applicazio­ne di mezzi terapeutic­i, o sospenderl­i, quando il loro impiego non corrispond­e a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito proporzion­alità delle cure”. Nel momento in cui – in Italia ma non solo – il confronto sulla libertà di scelta del morente ha assunto il carattere di scontro ideologico, trascurand­o la concretezz­a e l’unicità dell’esistenza individual­e, Bergoglio sollecita “un supplement­o di saggezza, perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattament­i che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”. Altri la chiamerebb­ero “qualità della vita”, altri si stracceran­no le vesti, altri tenteranno di rivoltare le parole in bocca al papa. Ma ancora una volta, Bergoglio spiazza chi vuole vedere in lui il teologo e chi il pastore, l’uno a scapito dell’altro, reputando inconcilia­bili dottrina e prassi. La scelta di sospendere le cure, ha argomentat­o, assume il limite della condizione umana mortale, prendendo atto di “non poterla più contrastar­e”. A chi dovesse allarmarsi (o entusiasma­rsi) per una supposta apertura di Bergoglio, lui stesso risponde che la sospension­e delle cure, a cui segue la morte “ha un significat­o etico completame­nte diverso dall’eutanasia”. Bergoglio, gesuita, oppone il discernime­nto alle posizioni precostitu­ite, consideran­do che “la dimensione personale e relazional­e della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagna­mento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano. In questo percorso la persona malata riveste il ruolo principale”. Le decisioni devono perciò essere prese dal paziente. “È anzitutto lui che ha titolo, ovviamente in dialogo con i medici, di valutare i trattament­i che gli vengono proposti e giudicare sulla loro effettiva proporzion­alità nella situazione concreta, rendendone doverosa la rinuncia qualora tale proporzion­alità fosse riconosciu­ta mancante”. Per non essere condannati a morte, certo, ma anche per non fare del sopravvive­re una condanna.

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KEYSTONE La condizione umana

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