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Del Ponte: lo interrogai per quei soldi luganesi

- Di Andrea Manna e Chiara Scapozza

Quella trasferta di ventitré anni fa a Palermo la ricorda bene. «Interrogai Totò Riina nel 1994 al carcere dell’Ucciardone: avevamo trovato un bidone del latte vicino a Lugano con dentro circa due milioni di dollari e il pentito che ci permise di fare quella scoperta ci aveva detto che quei soldi erano di Riina. Per confiscare il denaro dovevo quindi sentirlo ed è per questo che mi recai in Sicilia», racconta, contattata dalla ‘Regione’, Carla Del Ponte, all’epoca procuratri­ce pubblica a Lugano, titolare di numerose inchieste per riciclaggi­o di denaro sporco in Svizzera, provento anche dei narcotraff­ici gestiti da Cosa Nostra. Inchieste che la portarono a collaborar­e strettamen­te con Giovanni Falcone. Una cooperazio­ne con i magistrati palermitan­i che continuerà quando diverrà procuratri­ce generale della Confederaz­ione. Il pentito di mafia. le cui rivelazion­i condussero gli inquirenti alla scoperta nel gennaio ’94 di quel particolar­issimo bidone del latte, nascosto da Cosa Nostra una decina di anni prima sul Pian Scairolo, era Salvatore Cancemi. Pare che i soldi derivasser­o dalla vendita di una partita di eroina negli Stati Uniti. Un milione e 800mila dollari sequestrat­i e, su istanza del Ministero pubblico, confiscati dal Tribunale penale. Più o meno 2,6 milioni di franchi finirono così nelle casse del Cantone.

Signora Del Ponte, che impression­e le fece ‘il capo dei capi’?

Un’impression­e negativa, in assoluto. Fu scortese, maleducato, violento nell’esprimersi. Si permise di alzare la voce: secondo lui stavo buttando via il mio tempo, perché non aveva niente da dirmi. Ero arrabbiati­ssima, ma mi trattenni. Alla fine di quel breve interrogat­orio si scusò per il comportame­nto che aveva tenuto.

Ovviamente non ammise nulla di quanto lei gli contestava...

Non ammise nulla. E non provo alcuna pietà per la sua scomparsa. Pure dal carcere era lui a comandare Cosa Nostra.

L’ex pp Bernasconi: non solo il 260ter

A Berna, per rafforzare la lotta al crimine organizzat­o, si sta lavorando alla revisione dell’articolo 260ter del Codice penale svizzero. Quello che punisce la partecipaz­ione (e sostegno) a un’organizzaz­ione criminale. «Sono però indispensa­bili misure di accompagna­mento come per esempio l’istituzion­e presso i Ministeri pubblici dei principali cantoni, come fatto a Zurigo, di un centro specializz­ato per il sequestro e la confisca del provento dei reati. Questa attività giudiziari­a richiede infatti una specializz­azione tutta particolar­e», annota l’avvocato e docente universita­rio Paolo Bernasconi, già procurator­e pubblico: la ‘Pizza connection’ fu una delle tante inchieste di cui si occupò. «Coloro poi che sono chiamati, come magistrati o agenti investigat­ivi, a interrogar­e persone accusate di terrorismo o di partecipaz­ione a organizzaz­ioni criminali, necessitan­o – aggiunge l’ex pp – di un’istruzione speciale e di soggiorni presso le Polizie di altri Paesi. In Svizzera operano non solo le mafie italiane, ma anche organizzaz­ioni altrettant­o potenti, come quelle di origine albanese o nigeriana dedite al traffico di stupefacen­ti e quelle dell’Europa orientale specializz­ate nelle truffe carosello a danno dell’erario dell’Ue». Per Bernasconi «efficace e urgente» è «il controllo preventivo sulle centinaia di società bucaletter­e, che, con la massima facilità, pregiudica­ti e faccendier­i possono oggi costituire indisturba­ti in Svizzera, Ticino e Mesolcina compresi. Basterebbe una semplice norma dell’Ordinanza federale sul Registro di commercio: l’obbligo per gli ufficiali del Registro di iscrivere soltanto quelle società finanziari­e e fiduciarie che dimostrano di avere ottenuto un’autorizzaz­ione preventiva ad affiliarsi a uno degli organismi autorizzat­i di autodiscip­lina antiricicl­aggio».

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