La melodia di Castellinaria
In un’era sempre più segnata dal linguaggio dell’immagine, un festival ancorato alla scuola ha ‘diritti di esistenza ancora maggiori’. Per stimolare cittadini responsabili, non consumatori...
Apre questa sera con Maurizio Nichetti all’Espocentro a Bellinzona la 30ª edizione di Castellinaria, festival internazionale del cinema giovane. Una settimana di film, incontri, mostre e atelier. Una proposta rivolta ai ragazzi e alle scuole, ma pure agli adulti con le proiezioni serali. Ne parliamo con il presidente.
Perché dopo 30 anni un festival in orario scolastico ha ancora senso?
Perché è un supplemento d’occasione che viene dato alla scuola di misurarsi con il linguaggio più pervasivo e più efficace che l’essere umano abbia mai inventato. Questo linguaggio permea tutta la nostra civiltà, e significa cinema, tv, YouTube, Instagram, Whatsapp e tutto ciò che è immagine in movimento con il suono. Se non lo si conosce e non lo si decodifica, tutti quanti ne usufruiscono vengono utilizzati; per cui da cittadini responsabili diventiamo consumatori. Fin dall’inizio Castellinaria si è posto questo obiettivo, portare dentro la scuola il linguaggio cinematografico.
Bene, ma vedere un film non basta. La proiezione sfocia in un approfondimento in classe?
Questo io non lo posso sapere. Di certo noi siamo talmente convinti dell’importanza culturale di questa operazione, che siamo l’unico festival a fornire film per film delle schede didattiche utili ai docenti e agli allievi per fare un percorso di decodifica dopo la proiezione. Quindi vedere un film a Castellinaria è un’attività didattica, pedagogica, educativa.
Dopo aver sofferto a lungo i limiti del budget, da un paio d’anni siete più sereni. Questo che cosa permetterà nel prossimo futuro del festival?
Dopo che i miei predecessori hanno fatto miracoli, un mio obiettivo era di farlo decollare sul piano economico, facendolo riconoscere dalle istanze pubbliche: Cantone e Ufficio federale della cultura. L’obiettivo è stato raggiunto, finalmente il budget ci permette di organizzarci meglio e di consolidare la struttura. Il volontariato è bello ma è fragile, è necessario poter contare su un paio di figure chiave nei punti fondamentali dell’organizzazione. Avere un po’ più di soldi ci permette poi di allargare il campo di ricerca dei film e degli ospiti. Ma non è finita, ci vogliono ancora un po’ di soldini per essere del tutto tranquilli.
In 30 anni: fondatore, direttore, presentatore e ora presidente. Da dove arriva ancora la motivazione?
Perché ci credo. Tra l’altro prima di vivere di giornalismo ho fatto l’insegnante in diversi ordini di scuola. Sempre e ovunque andassi a insegnare mi portavo dietro il cinema come strumento didattico. Quando nel 1987 mi è stato proposto da quel gruppo di idealisti di far parte del comitato del festival, ho pensato di unire i due ambiti. Ci credo profondamente e
l’ho voluto accompagnare dalla nascita fino ad oggi.
Una soddisfazione particolare, oggi, nel condividere la sala con i ragazzi?
Quando vedi dei ragazzini che sono venuti solo perché la classe lo fa, e magari sono scettici, ma all’uscita ti dicono “però
era bello”, vuol dire che hai vinto la battaglia. Anche perché i ragazzi di oggi vedono più film di quanti ne vedessimo noi, ma li vedono male, sullo schermo del tablet o del telefono o del computer. Di un film visto in questo modo ti rimane poco dentro, lo vedi in modo distratto, ti penetra senza che tu te ne renda conto: vederlo al cinema è un’altra cosa. Un festival che ti invita a vedere i film in sala ha senso anche in questi termini, perché il pubblico sta perdendo la strada del cinema. È un problema dei festival generalisti e diventerà per loro sempre più grande, viceversa un festival ancorato alla scuola ha dei diritti di esistenza persino maggiori.