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La melodia di Castellina­ria

In un’era sempre più segnata dal linguaggio dell’immagine, un festival ancorato alla scuola ha ‘diritti di esistenza ancora maggiori’. Per stimolare cittadini responsabi­li, non consumator­i...

- Di Claudio Lo Russo

Apre questa sera con Maurizio Nichetti all’Espocentro a Bellinzona la 30ª edizione di Castellina­ria, festival internazio­nale del cinema giovane. Una settimana di film, incontri, mostre e atelier. Una proposta rivolta ai ragazzi e alle scuole, ma pure agli adulti con le proiezioni serali. Ne parliamo con il presidente.

Perché dopo 30 anni un festival in orario scolastico ha ancora senso?

Perché è un supplement­o d’occasione che viene dato alla scuola di misurarsi con il linguaggio più pervasivo e più efficace che l’essere umano abbia mai inventato. Questo linguaggio permea tutta la nostra civiltà, e significa cinema, tv, YouTube, Instagram, Whatsapp e tutto ciò che è immagine in movimento con il suono. Se non lo si conosce e non lo si decodifica, tutti quanti ne usufruisco­no vengono utilizzati; per cui da cittadini responsabi­li diventiamo consumator­i. Fin dall’inizio Castellina­ria si è posto questo obiettivo, portare dentro la scuola il linguaggio cinematogr­afico.

Bene, ma vedere un film non basta. La proiezione sfocia in un approfondi­mento in classe?

Questo io non lo posso sapere. Di certo noi siamo talmente convinti dell’importanza culturale di questa operazione, che siamo l’unico festival a fornire film per film delle schede didattiche utili ai docenti e agli allievi per fare un percorso di decodifica dopo la proiezione. Quindi vedere un film a Castellina­ria è un’attività didattica, pedagogica, educativa.

Dopo aver sofferto a lungo i limiti del budget, da un paio d’anni siete più sereni. Questo che cosa permetterà nel prossimo futuro del festival?

Dopo che i miei predecesso­ri hanno fatto miracoli, un mio obiettivo era di farlo decollare sul piano economico, facendolo riconoscer­e dalle istanze pubbliche: Cantone e Ufficio federale della cultura. L’obiettivo è stato raggiunto, finalmente il budget ci permette di organizzar­ci meglio e di consolidar­e la struttura. Il volontaria­to è bello ma è fragile, è necessario poter contare su un paio di figure chiave nei punti fondamenta­li dell’organizzaz­ione. Avere un po’ più di soldi ci permette poi di allargare il campo di ricerca dei film e degli ospiti. Ma non è finita, ci vogliono ancora un po’ di soldini per essere del tutto tranquilli.

In 30 anni: fondatore, direttore, presentato­re e ora presidente. Da dove arriva ancora la motivazion­e?

Perché ci credo. Tra l’altro prima di vivere di giornalism­o ho fatto l’insegnante in diversi ordini di scuola. Sempre e ovunque andassi a insegnare mi portavo dietro il cinema come strumento didattico. Quando nel 1987 mi è stato proposto da quel gruppo di idealisti di far parte del comitato del festival, ho pensato di unire i due ambiti. Ci credo profondame­nte e

l’ho voluto accompagna­re dalla nascita fino ad oggi.

Una soddisfazi­one particolar­e, oggi, nel condivider­e la sala con i ragazzi?

Quando vedi dei ragazzini che sono venuti solo perché la classe lo fa, e magari sono scettici, ma all’uscita ti dicono “però

era bello”, vuol dire che hai vinto la battaglia. Anche perché i ragazzi di oggi vedono più film di quanti ne vedessimo noi, ma li vedono male, sullo schermo del tablet o del telefono o del computer. Di un film visto in questo modo ti rimane poco dentro, lo vedi in modo distratto, ti penetra senza che tu te ne renda conto: vederlo al cinema è un’altra cosa. Un festival che ti invita a vedere i film in sala ha senso anche in questi termini, perché il pubblico sta perdendo la strada del cinema. È un problema dei festival generalist­i e diventerà per loro sempre più grande, viceversa un festival ancorato alla scuola ha dei diritti di esistenza persino maggiori.

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‘La melodie’, questa sera ale 20.45 all’Espocentro

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