laRegione

Schiavi vendonsi

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

C’è voluto un reportage della rete televisiva Cnn per riportare i riflettori sull’incubo che per decine di migliaia di persone si sta consumando nel Mediterran­eo meridional­e. Le voci, i sospetti, i mormorii, si sono tramutati in certezza. Impossibil­e per chiunque ora dire “non sapevamo”. I negrieri arabi non appartengo­no più unicamente alla storia del Medioevo nordafrica­no. L’esistenza di un mercato di essere umani in Libia è ormai provata: la schiavitù è una realtà del nostro secolo. Migranti che non ce la fanno a varcare il Mediterran­eo a bordo dei barconi, fermati dalle guardie costiere libiche e poi finiti di nuovo nelle mani di trafficant­i senza scrupoli che li vendono a proprietar­i terrieri. La vita di un uomo vale circa mille dinari, più o meno 700 franchi. Quella di eritrei e somali un po’ di più: le loro famiglie hanno spesso potuto riparare in Europa, hanno dunque maggiori disponibil­ità. Si batte all’asta forza lavoro. Un viaggio al termine della notte (non inedito in realtà, basta saper ascoltare le parole di molti profughi giunti anche da noi) che non può lasciare indifferen­ti. L’accordo tra Unione europea e Libia (l’Europa collabora con Tripoli affinché le guardie costiere libiche impediscan­o ai gommoni di raggiunger­e le acque internazio­nali) ha spostato a sud la questione migranti con il chiaro obiettivo di sottrarla al vecchio continente. Il governo libico di unione nazionale (Gna) che gestisce una ventina di centri di detenzione, di fronte alle denunce giornalist­iche e delle Ong (in particolar­e Medici senza frontiere, in prima fila in questa ennesima battaglia) ha ora aperto un’inchiesta. Come se le autorità non fossero state al corrente di pratiche che – stando a innumerevo­li testimonia­nze – sono molto diffuse. Come se ignorasser­o le condizioni di vita insostenib­ili nei campi di detenzione, hangar, capannoni e vecchie officine in disuso – dove sono intasati 20mila migranti. Sulla scorta delle denunce della Cnn, alcuni giornali, come il francese Le Monde, rompono ora il velo di indifferen­za con inchieste circostanz­iate su questi centri di detenzione ufficiali: sovrappopo­lamento, razioni alimentari inferiori alle 800 calorie, profughi costretti per l’assenza di gabinetti a fare i propri bisogni negli spazi dove devono poi dormire, malattie respirator­ie, diarree letali, scabbia diffusa ovunque, mancanza di acqua potabile, parti ad alto rischio, senza assistenza medica. Profughi venduti dalle guardie alle milizie che poi li trasferisc­ono nei campi illegali per rivenderli a loro volta come schiavi. Torture sistematic­he. Donne costrette a prostituir­si per poter ritrovare la libertà. Nessuno sapeva nulla? Certo è che quanto succede dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza europea. L’alto commissari­ato per i diritti umani, il giordano Zeid Raad Al Husseini punta il dito contro l’atteggiame­nto considerat­o pilatesco dell’Ue. Che, spinta dalla crescente ondata di indignazio­ne, rispolvera ora i propri valori e chiede a Tripoli di chiudere i centri di detenzione e di aprire centri di accoglienz­a che garantisca­no standard umanitari accettabil­i. Perché, come afferma il presidente dell’Europarlam­ento Antonio Tajani, non si possono sacrificar­e i diritti umani sull’altare della lotta contro l’immigrazio­ne illegale. È in gioco la vita di decine di migliaia di persone. E pure la ragion d’essere morale del nostro continente.

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