Borse europee tra razionalità e umori americani
Segue da pagina 7 (…) ma che diventano eccezionali se si considera che chi investe in dollari ha contato pure un extra guadagno valutario pari al 12% per l’euro e al 4% in yen. Cosicché un ipotetico fondo americano, ritrovandosi plusvalenze del 19% sui titoli europei (addirittura del 29% per quelli italiani) e del 21% per quelli giapponesi (ammesso che non si sia protetto dal rischio di cambio), è incentivato a consolidare i guadagni, alleggerendo qualche posizione. Il paradosso è che, se da un lato l’apprezzamento della valuta europea può danneggiare le società europee orientate all’esportazione, dall’altro potrebbe favorire la crescita dei titoli in borsa. Ma la variabile valutaria è al momento assai incerta e in gran parte dipendente dalle politiche monetarie delle diverse banche centrali: in particolare della Fed, dove la nomina della “colomba” Jerome Powell alla presidenza parrebbe preludere a uno scenario ancor più accomodante di quello tracciato da Janet Yellen. Chiacchierando con alcuni importanti operatori europei (in particolare con Gian Luca Bolengo di Intermonte, Fausto Artoni di Azimut e Andrea Delitala di Pictet), non si coglie alcuna seria preoccupazione su questa apparente (e forse momentanea) flessione dei mercati europei. Secondo costoro si tratte- rebbe solo di “prese di profitto”, di “correzione tecnica”, in attesa di tempi migliori, poiché i “fondamentali” sono più che buoni in Europa. Erik Nielsen, capo economista di Unicredit riafferma, con maggior vigore, la consueta predilezione per i titoli d’eurozona, poiché le ragioni per investire sui titoli dello Stoxx, meno cari e con maggior potenziale di crescita, sarebbero intatte. Così suggerirebbe la logica: spesso ancella degli umori d’Oltreoceano.