Investire in formazione
Nel confronto interregionale il Ticino si piazza in fondo alla classifica nazionale per quanto riguarda il livello dei salari
‘Fattori di produzione, relazioni e società: la competitività del Ticino a confronto’. Era il tema dell’edizione autunnale di confronTi organizzata dall’Istituto di ricerche economiche dell’Università della Svizzera italiana e svoltasi ieri mattina presso l’Auditorium di BancaStato a Bellinzona. In particolare l’accento è stato posto sulla descrizione delle relazioni commerciali del Ticino e dei legami con le regioni italiane di confine: dall’andamento di un fattore strategico per le imprese e i consumatori come il mercato elettrico (poco liberalizzato in Svizzera rispetto all’Italia), all’evoluzione del capitale umano. Quest’ultimo aspetto è stato analizzato, sia dal lato della domanda, sia da quello dell’offerta, dal ricercatore dell’Ire Davide Arioldi. La prima evidenza che salta all’occhio, esaminando la struttura dei salari, è che i lavoratori più istruiti (con una formazione accademica) in tutti i settori guadagnano di più. Sembra un’ovvietà ma non è sempre così, almeno non in tutti i settori. In particolare – stando ai dati mostrati da Davide Arioldi –, in alcuni ambiti l’istruzione accademica ha un impatto li-
mitato sul salario dell’individuo. È il caso del commercio al dettaglio dove lo scarto tra chi ha un titolo accademico (master) e chi no raggiunge il 16%, mentre nel settore del commercio all’ingrosso tale differenziale raggiunge il 40%, sempre tra chi ha un master e chi solo un diploma di scuola secondaria. «Molto dipende dalla produttività e dall’efficienza del singolo e soprattutto dell’impresa», precisa Arioldi. In generale un’impresa non assumerà lavoratori che producono meno di quanto costano. Ecco spiegate anche le differenze salariali medie tra Ticino e Zurigo (più di 1’500 franchi), per esempio, che rispecchiano un analogo differenziale di produttività oraria media (78 in Ticino e oltre 88 a Zurigo). Un altro dato che emerge dall’analisi è che in media le imprese ticinesi riconoscono salari differenti per stranieri residenti, stranieri non residenti e nativi. «A parità di fattori controllabili, uno straniero residente guadagna circa il 3,7% in meno di un nativo, mentre uno straniero non residente circa l’11% in meno. Questo vuol dire che non c’è concorrenza perfetta nel mercato del lavoro», afferma ancora il ricercatore dell’Ire.
Gli effetti della bassa produttività
Ma indipendentemente dal tipo di mercato del lavoro, le imprese hanno un vincolo: assumeranno lavoratori solo fino a quando il livello salariale non sarà superiore alla loro produttività marginale. Cosa succede, quindi, se si introduce un salario minimo vincolante? L’esperienza, anche se limitata ad alcuni settori che non coprono l’intera economia ticinese, esiste. Arioldi ha mostrato il caso di tre settori dove vigono contratti normali di lavoro (elettronica, apparecchiature elettriche e commercio al dettaglio). Ebbene, mentre il 10% dei salari più bassi (sotto i 3mila franchi) nel giro di due anni (dal 2012 al 2014) è aumentato (in media di oltre 11%), quelli più elevati (tra i 6 e gli 8mila franchi), sono diminuiti. Una situazione che nel lungo periodo potrebbe manifestare effetti distorsivi sulla crescita, visto che le persone con una produttività maggiore e formazione elevata potrebbero prendere il treno e valicare il San Gottardo.