Amnesty censura l’accordo sul ritorno dei Rohingya
Intesa fra i governi di Myanmar e Bangladesh. L’Ong: rientro per ora inimmaginabile.
Bangkok – Oltre 620mila Rohingya sono fuggiti in Bangladesh negli ultimi tre mesi: ora, almeno sulla carta, parte di essi rientrerà in Birmania. I due Paesi hanno firmato ieri un accordo che prevede il rimpatrio di centinaia di migliaia di rifugiati della minoranza musulmana fuggiti dall’offensiva dell’esercito birmano e da violenze che l’Onu e gli Stati Uniti hanno definito ‘pulizia etnica’. Passare dal dire al fare, tuttavia, potrebbe rivelarsi più difficile del previsto. Ci ha pensato Charmain Mohamed, direttore di Amnesty International sui diritti dei rifugiati e dei migranti, a spegnere qualsiasi illusione: «Parlare di rientro è evidentemente prematuro considerato che i Rohingya continuano a cercare rifugio in Bangladesh quasi ogni giorno a causa della pulizia etnica in corso in Birmania». «Non potrà esservi alcun rientro in condizioni di sicurezza e dignità fino a quando il sistema d’apartheid resterà in vigore in Birmania, dove migliaia di Rohingya sono trattenuti in condizioni equiparabili a quelle dei campi di concentramento. Rientrare in condizioni del genere è semplicemente inimmaginabile», ha aggiunto. I termini del memorandum d’intesa siglato nella capitale birmana Naypyidaw sono fumosi. Per il ministro degli Esteri di Dacca, Mahmooh Ali, si tratta di «un primo passo». Un alto ufficiale del Ministero per l’immigrazione birmano ha dichiarato che il Paese è pronto ad accogliere i profughi «il prima possibile». L’accordo, se implementato, renderà almeno in parte meno tragica l’emergenza umanitaria che da fine agosto è esplosa al confine tra i due Paesi. Dalla parte bengalese sono spuntati campi profughi improvvisati dove le condizioni sono di mera sussistenza, per una popolazione che racconta dettagli di sofferenze atroci ad opera delle forze armate birmane con l’aiuto della popolazione buddista locale. L’intera fascia settentrionale dello Stato di Rakhine è in sostanza stata ripulita di Rohingya, che prima costituivano la maggioranza in quell’area. Le complicazioni però non mancheranno. I Rohingya che vorranno rientrare dovranno presentare dei documenti che provino il loro diritto di residenza: dato che la restrittiva legge sulla cittadinanza birmana del 1982 esclude tale minoranza da quelle riconosciute, le autorità e la società birmana considerano i Rohingya ‘bengalesi’ arrivati clandestinamente senza diritto di residenza. Molti di essi hanno anche perso tutti i loro averi, documenti compresi, e anche parte dei loro cari, nella precipitosa fuga. E non hanno più né case né terreni dove tornare ad abitare. Amnesty International intanto ha chiesto che Birmania e Bangladesh “rispettino l’obbligo di diritto internazionale di non rimandare persone in situazioni nelle quali rischierebbero di subire persecuzione o altre gravi violazioni dei diritti umani”.