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Malata d’animazione

L’incontro: Alessia Tamagni ci porta nella sua passione per i cartoni animati Passione, dedizione e tanta pazienza. Questi i requisiti per avvicinare il mondo del film d’animazione, e liberare tutta la creatività che consente...

- Di Claudio Lo Russo

Alla fine, il pinguino di Arianna e Valentina esce dal guscio. Sei secondi di animazione, tre ore di lavoro. Giusto per avere un’idea del lavoro che sta dietro un “cartone animato”. Le due liceali lo stanno scoprendo in uno degli atelier proposti da Castellina­ria all’Espocentro. E dopo questo primo assaggio, Arianna non ha dubbi. Fare dell’animazione un lavoro? «Assolutame­nte no». In effetti richiede una buona dose di pazienza. Lo sa bene Alessia Tamagni, una delle curatrici degli atelier con cui bambini e adolescent­i possono avvicinars­i a questo universo. Che cosa l’ha sedotta in questa forma d’espression­e? «Il fatto di dar vita a qualcosa, di creare con le mani. È una cosa che bisogna sentire, è come una malattia: vedi le cose che possono muoversi e devi farle muovere». Alessia si è formata a inizio anni 2000, quando pochi ragazzi sceglievan­o l’animazione. Oggi lavora soprattutt­o nelle scuole, dove fa scoprire ai bambini come animare i loro personaggi. Una passione, la sua, sbocciata presto: «A 7-8 anni ho iniziato a disegnare dei personaggi. Mio padre era artista, insegnava al Ginnasio e ha fatto dei film d’animazione con i suoi allievi, conosceva dei realizzato­ri e mi ha portato fin da piccola in uno studio. Lì è cominciato tutto, vedevo i miei personaggi che si muovevano e questa cosa mi è restata sempre dentro. Poi ho fatto uno stage, mi sono stati indicati dei nomi che mi avrebbero potuto aiutare e così sono andata a Losanna». A Losanna infatti c’è Robi Engler, uno dei maestri svizzeri dell’animazione. «Dopo la Csia a Lugano ho fatto la formazione da lui. Le scuole stavano iniziando a proporre dei corsi, purtroppo un paio di volte è successo che io fossi l’unica iscritta,

per cui lui mi ha preso sotto la sua ala». Nel frattempo Alessia è tornata in Ticino e ha realizzato i suoi primi film, autoprodot­ti, seguiti da uno dedicato al cinquantes­imo della funivia Monte Carasso-Mornera. Fra i prossimi progetti, uno sui 50 anni del Gruppo svizzero del film d’animazione. Fare questo lavoro in Ticino è penalizzan­te? «Qui non c’è proprio il pubblico per il film d’animazione, non è sentito come genere cinematogr­afico, anche se ci sono delle persone iscritte ai corsi per adulti e a casa fanno qualcosa. Io mi

sono ritagliata la mia fetta di conoscenze, si può lavorare tanto da casa e con Internet. Ma in Ticino da sola è davvero impossibil­e, non ci sono colleghi che facciano qualcosa di artigianal­e come me. Mi piacerebbe prendere e andare, vedere quel che fanno altre persone, al di là delle Alpi e in Nord Italia... Forse quando le mie figlie saranno più grandi. In ogni caso si va avanti, io non mollo». Qual è per lei la qualità più autentica dell’animazione? «Sia disegnata che digitale, l’animazione dà libero sfogo all’immaginazi­one. Io sono affascinat­a dall’artigianal­ità, il computer è troppo preciso e ti fa perdere qualcosa di vivo, un’emozione». Cosa presenta Castellina­ria? «Qui si scopre come si realizza un’animazione con la stop motion, ovvero muovere personaggi, oggetti e qualsiasi cosa di carta sotto una macchina fotografic­a, in questo caso iPad». Il segreto di base è fare i disegni iniziale e finale, poi tutti quelli intermedi, in seguito li si fotografa e si ricostruis­ce il movimento; come l’uscita dall’uovo in sei secondi del pinguino di Arianna e Valentina.

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Il pinguino di Arianna e Valentina (nel riquadro Alessia Tamagni)
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