laRegione

Un venerdì nero salvato dai giovani

- Di Claudio Lo Russo

In questo “venerdì nero”, dal mio sgabello osservo il flusso di bambini gioiosi e vocianti che si apprestano alla visione di un film sull’assurdità (adulta) delle barriere sociali, razziali, culturali. Poco più in là, i ragazzi di una delle giurie si riuniscono un’ultima volta, mettono in circolo riflession­i e punti di vista, dibattono per approdare a una scelta condivisa. Ripenso con il freddo alla schiena a quanto stamattina mi ha detto un amico docente: un corso sull’uso dei tempi verbali in ‘Se questo è un uomo’ gli ha riproposto tutta la drammatica attualità dello sguardo di Primo Levi, la potenza del suo pensiero anzitutto politico. Cioè, nel perimetro sigillato di una vivisezion­e letteraria, ti parlano di racconto al passato o al presente, e chissà perché tu ti trovi a sprofondar­e nel silenzio di piombo che avvolge i campi di prigionia in Libia, che ci proteggono dall’invasione dei nuovi barbari, senza spade né cavalli, armati solo della loro moltitudin­e. Le voci dei bambini riempiono la sala. Mentre loro scoprono che Azur e Asmar, il figlio del padrone e il figlio della serva, possono essere amici, leggo sulla mia tavoletta retroillum­inata che in Egitto un attentato ha fatto 80, 150, 200 morti... Chi è stato tradito? Noi, da questa parte dell’età matura, o loro, gli innocenti? Fuori, ovunque da qualche parte, migliaia di miei simili si precipitan­o a cogliere l’occasione dell’anno. Dopotutto, anche noi finalmente abbiamo diritto al nostro “venerdì nero”. Se la felicità ha un costo, tanto meglio comprarla a prezzo di saldo. Magari, fare la scorta. Lungo le strade le vetrine rivolgono la loro lusinga. Come non sentirsi partecipi di qualcosa? Dopo Halloween ci è stato concesso anche il “nero”, nei casi più generosi per tutto il weekend. Poi potremo celebrare la nostra Festa del Ringraziam­ento. In effetti, potrei portarmi avanti con i regali. Eppure il pensiero di Primo Levi mi segue: medita che questo è stato, ti comando queste parole, scolpiscil­e nel tuo cuore, stando in casa andando per via, coricandot­i alzandoti, ripetile ai tuoi figli. Potessi alzarmi in volo, come una cicogna che in questo momento ad ali spiegate punta verso sud, quanto tempo impieghere­i a sorvolare la Libia? Quanto è lontano da noi l’orrore del nostro tempo, in metri, minuti, respiro? La commessa sorride, come ogni commessa. I ragazzi di Castellina­ria dovrebbero aver scelto i loro premi. Forse stanno ancora discutendo di regia, fotografia, capacità di racconto, sguardo autoriale, di messaggi estetici e politici consegnati alla nostra attualità. Fuori, il mondo adulto – quello delle regole, maturo, responsabi­le e in genere deluso dalla loro superficia­lità – gli consegna un lungo “venerdì nero”, tutto per loro, buono per esercitare la loro incerta capacità di misurazion­e del bene e del male. Sulla mia tavoletta leggo che in Alabama una rissa è scoppiata per un paio di scarpe, un bimbo ha rimediato una scarpata. I ragazzi di Castellina­ria hanno deciso: premiato ‘Un sacchetto di biglie’, la lunga fuga di un bambino attraverso la Francia dalla barbarie nazista. Vorrei dirlo a Primo Levi, ai detenuti nei lager libici. La commessa sorride. Che faccio, entro? Mi prendo il sorriso, è gratis.

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