Gli allevatori ai tempi del lupo
Le greggi di ovini e caprini vivono un periodo di relativa calma, ma la preoccupazione è alta Sem Genini, segretario Unione contadini ticinesi: ‘Vogliamo far vivere gli animali all’aperto per il loro benessere e la qualità dei prodotti’
È il lupo il convitato di pietra del convegno che si terrà oggi ad Arbedo-Castione. Infatti, si discuterà del futuro degli allevamenti ovini e caprini, ma anche dei pericoli che vivono. A organizzare l’evento, l’Associazione per un territorio senza grandi predatori in collaborazione con la Federazione consorzi allevamento caprino e ovino e l’Unione contadini ticinesi (Uct), il cui segretario, Sem Genini, raggiunto dalla ‘Regione’ spiega la propria preoccupazione. «Quello del lupo è un problema grave per il nostro allevamento tradizionale. Già al suo ritorno in Ticino, con delle predazioni nel 2001 a Monte Carasso, sono stati fatti diversi atti parlamentari – afferma Genini –, ma si è sempre glissato un po’. Oggi, invece, è un’emergenza. All’inizio di marzo ci sono state in Val Leventina e Val Mesolcina, per la prima volta, predazioni non all’esterno, ma dentro i recinti e nelle stalle. E sempre per la prima volta il nostro Cantone, poiché gli attacchi hanno portato complessivamente all’uccisione di quasi 50 pecore in pochi giorni, ha dato il permesso di abbattere il lupo responsabile (M75)». Per il momento, quella è rimasta una vicenda isolata, almeno nelle proporzioni. «Non sappiamo però fino a quando ci sarà questa calma – insiste il segretario dell’Uct –, in agosto c’è stata la terza cucciolata in Valle Morobbia e la preoccupazione, come il livello di guardia, resta alta». Di quanti animali si parla in questo caso? «Ogni muta sono cinque o sei lupi, che devono sfamarsi in un modo o nell’altro». E quando lo fanno colpendo il bestiame, sono danni per gli allevatori. Affettivi, certo, ma anche economici. «Uno studio di Agridea durato diversi anni ha mostrato che per ben il 70 per cento delle aziende ticinesi da loro contattate è impossibile attuare delle misure di protezione contro i grandi predatori». E per quale motivo? «Non perché non vogliono, ma perché non possono con i mezzi a disposizione. La messa in sicurezza degli animali è problematica – continua Genini –. Usando i cani insorgono problemi con i turisti, perché sono molto aggressivi contro tutti gli estranei. Per non parlare della questione delle recinzioni. Io per esempio sono a Cresciano, ed è impensabile recintare tutta la nostra valle». Davvero non ci sono soluzioni? «Si potrebbe riunire tutti gli animali in poche zone, pochi alpeggi del cantone. Ma non ce ne sono di grandi abbastanza, né un numero sufficiente. Diversi patriziati hanno messo a posto gli alpi, facendo grossi investimenti economici, per farci andare i pastori e poi dobbiamo portare via gli animali, abbandonando al bosco gli alpeggi, perché c’è il lupo?». E a fron-
te di queste problematiche, quali sono le richieste alla politica? «Vogliamo rinegoziare la convenzione di Berna (un trattato del 1979 che regola la conservazione della vita selvatica in Europa, ndr) rendendo più facile abbattere i lupi che causano danni. Magari non ragionando su base cantonale, ma su regioni limitrofe dove questi si manifestano di più». Anche il poter cacciare i lupi dopo un numero inferiore di bestiame ucciso rispetto a oggi è un punto fermo: «Spesso le predazioni sono chiarissime, non serve molta burocrazia per capirlo». Cosa si sente di dire alla popolazione? «Non possiamo proteggere il bestiame, a meno che non lo si tenga chiuso in stalla. Ma non è quello che vogliamo. Desideriamo tenere gli animali all’aperto, per il loro benessere e la qualità dei loro prodotti. Non si può rinchiuderli. La vita più bella che possono avere è quella all’aperto, andando liberi dove vogliono e senza paura del lupo».