Il Comune blocca la deponia
La Polizia cantonale ha posato le transenne. L’autorità locale lancia un segnale contro i depositi illegali.
Da una parte il Comune di Riviera, che come ci spiega il capodicastero Ivan Falconi vuole lanciare un messaggio contro i depositi illegali di materiale nel Comune; dall’altra un imprenditore attivo nella gestione di inerti – Björn Malingamba della Ptm – che si dice «scornato e disilluso» dalle autorità nel commentare l’intervento della Polizia cantonale di ieri sui sedimi della cava ex Antonini di Cresciano da lui acquistati. Intervento volto a chiudere gli accessi agli autocarri che depositavano materiale di scavo. Materiale inquinato? «No, posso produrre tutta la documentazione che lo certifica», assicura Malingamba. Sui dubbi sollevati riguardo al materiale trasportato dal Luganese, aggiunge che «anche» questo tipo di materiale terroso portato a Cresciano risulta essere non contaminato. E anche su questi inerti l’imprenditore si dice in grado di produrre tutta la documentazione necessaria. Quali i motivi che hanno portato all’intervento di ieri sollecitato dal Municipio? Il quale, peraltro, da lungo tempo attende il preavviso del Dipartimento del territorio alla richiesta di deponia. «Prima di intavolare le trattative per acquisire il sedime ex Antonini – spiega l’imprenditore –, nel settembre 2016 abbiamo presentato regolare domanda di costruzione per riempire parte della fossa con materiale di scavo. Si stratta di un buco profondo circa 25 metri, realizzato negli anni 2000 durante l’attività estrattiva del granito, e capace di contenere circa 75mila metri cubi di terra. Un’attività, ci era stato spiegato a suo tempo, svolta senza chiedere i necessari permessi».
Dito puntato contro il Cantone
Un abuso che Malingamba ha segnalato lo scorso giugno al Municipio di Riviera, in carica da pochi mesi dopo l’aggregazione. Rifacendosi alla Legge edilizia, l’imprenditore ha valutato due possibilità per andare avanti con la propria attività in quel luogo: presentare una domanda a posteriori per la fossa oppure sanare, lui stesso, il vecchio abuso, ovvero colmando il buco. «Ho scelto quest’ultima possibilità». Un provvedimento adottato dopo altre azioni che non hanno tuttavia avuto l’esito sperato. «Infatti abbiamo presentato domanda di costruzione per una piazza di cernita e lavorazione dei blocchi da ricavare all’interno del buco, coprendo una parte di esso». Ma perché non attendere la conclusione dell’iter edilizio? «Ripeto, mi sono trovato nella situazione di sanare un abuso. Di fronte a una licenza che tardava ad arrivare, ho optato per la strada che mi ha permesso di continuare l’attività, ritenendola conforme al diritto edilizio, anche se non prassi corrente. Nell’ambito della nostra attività di movimento terra, dobbiamo poter sapere dove riporre gli inerti. Il problema non è affatto secondario considerato che attendo delle licenze sin dal 2012». Malingamba aggiunge, sempre per il caso di Cresciano, di aver comunicato al Comune l’intenzione di sanare l’abuso tramite un’istanza di ripristino (riempimento buco), «ma anche qui non ho mai ottenuto risposta». Da qui, viste le lungaggini, la sua decisione di andare avanti con la deponia, malgrado un primo ordine di sospensione lavori ricevuto dal Municipio in settembre, seguito poi da un secondo, «ma senza rispondere alla mia istanza». La delusione è tanta: «È il secondo terreno che acquisiamo per regolarizzarci. Com’è possibile – sbotta – che in Ticino il Cantone raccomandi alle aziende impegnate in scavi superiori ai 10mila metri cubi di andare a depositare in Italia?». Ma ora, come uscirne? Malingamba ha intenzione di chiedere un incontro col Municipio e lascia intendere che valuterà la possibilità di continuare a depositare materiale nella cava. «Voglio che mi si dica perché ho torto nel ripristinare il buco». E quanto al Cantone? «Ho l’impressione che manchi la volontà politica di trovare soluzioni al problema delle terre di scavo. E se uno le trova, gli si dà contro».