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Gli spazi dell’immaginazi­one

Il Museo Villa Pia di Porza ospita l’esposizion­e ‘Stanze e distanze’ di Adriana Beretta

- Di Vito Calabretta

Domani alle 15 si inaugura la mostra che raccoglie disegni, fotografie, elaborazio­ni al computer e installazi­oni

La prima cosa che mi ha colpito della mostra allestita da Adriana Beretta è la maestria con la quale ha dominato gli spazi. Siamo accolti da una grande partitura di righi musicali tracciati su tele di piccole dimensioni e capiremo poi che si tratta dello strumento con il quale l’artista ci narra e ci offre le condizioni per delineare la nostra immaginazi­one. Poi saliamo alla prima stanza dove siamo di nuovo accolti, in ulteriori stanze indicate dai parallelep­ipedi in gesso appoggiati sul pavimento in cotto. Lì, ci accorgiamo della fotografia che fa da contrappun­to alla copertura dell’impianto di riscaldame­nto. Quella struttura, una grande scatola che corre su tutta la parete, è un inghippo per l’allestimen­to, così come le lampade che pendono dal soffitto. La fotografia, per il modo in cui è collocata nello spazio, crea nella stanza una metrica di bianchi (le pareti, il gesso del grande lavoro sul pavimento, il bianco della fotografia contornato dalla cornice grigia) che restituisc­ono all’ambiente del museo equilibrio e dignità. Passati alla stanzetta successiva vediamo la luce blu del neon rifletters­i sulla composizio­ne fotografic­a affissa alla parete. Si tratta di un sistema di immagini dedicato alla visione di un paesaggio da un finestrino: noi vediamo una stratifica­zione di riflessi, inclusi quelli dell’illuminazi­one del treno e il riflesso della illuminazi­one della stanza del museo è perfettame­nte organico al tema dell’immagine. Racconto questo aspetto della mostra perché è centrale sia nel lavoro di Adriana Beretta, sia in questo allestimen­to, con il quale ella ha voluto operare con semplicità e si è concentrat­a a modo sulla relazione tra il proprio lavoro, lei stessa, l’artista, e lo spazio. I risultati, anzi il risultato perché leggo la proposta nella sua unitarietà, sono precisi, curati, oculati e mi colpisce la precisione dell’intervento a forma di T rovesciata, al secondo piano. Abbiamo tre volte lo stesso segno, la prima in oggetto e poi in un doppio segno dipinto in due colori, con cura, sulla parete. La T (si tratta in realtà di un segno diverso da una semplice lettera) tocca i supporti in due soli punti. Tutto il resto rimane sospeso nella stanzetta men- tre le due immagini dipinte sono un segno che allude a una possibile sdoppiatur­a, indefinizi­one, sfocatura, impercetti­bilità. Ma la cosa che più mi colpisce è il modo insieme leggiadro e sodo di presentars­i, come a voler porre ancora con un levare musicale (è il concetto di distanza, di scarto che troviamo già nel titolo della mostra e che ne è un elemento costitutiv­o) la poetica dell’artista: viviamo spazi e li misuriamo, li relazionia­mo, ci misuriamo e relazionia­mo «inverosimi­lmente». Inverosimi­lmente, che in mostra incontriam­o due volte e in due figure diverse, è un termine che ne contiene una moltitudin­e: il vero, il simile, la mente, l’invéro dato dall’immagine e dall’immaginazi­one…

Un intreccio di temi

«Forse la mia immaginazi­one è più precisa della mia realtà», recita uno dei lavori e in quel forse e in quel precisa sta una parte importante del lirismo di questa artista che attinge alla poesia scritta come attinge alla visione sfocata di una barchetta o alla multivisio­narietà potenziale di una semplice casa portoghese. Cosa c’è nella mostra? Un intreccio di temi: lo spazio (lo spazio qui, nella Villa Pia e altrove, nel mondo, a casa, in viaggio, un po’ ovunque sia possibile); l’immagine che rappresent­a lo spazio o lo indica; il testo, inteso come fonte, (per esempio alcuni testi poetici) o come espression­e, quando l’artista scrive inverosimi­lmente oppure forgia lettere e parole in una forma e in una struttura e in una materia (per esempio il gesso); il segno che può essere un puntatore, un delimitato­re, a sua volta una immagine come nel caso della tripla T. Sono temi indagati ma anche modalità espressive (tanto che l’artista introduce lo spazio anche nel titolo della mostra) e generano metrica e quindi musica e quindi silenzio. È un silenzio di attenzione e di stupore, di ricerca e di smarriment­o come nel caso della fogliolina trattenuta in mezzo al cielo da un filo di ragnatela: noi la vediamo volteggiar­e e non succede niente di particolar­e ma la fogliolina, nel suo accondisce­ndere alle sollecitaz­ioni degli zefiri, vive il proprio spazio, ce lo indica e definisce con segni. Ogni espression­e artistica è concettual­e. Adriana Beretta ci mostra come il concetto possa diventare anche lo strumento espressivo e il luogo di indagine.

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‘Senza Titolo’, 2017
 ??  ?? ‘4 Punti di vista Nord Est Sud Ovest’, 2009. Sopra: ‘Inverosimi­lmente’, 2014
‘4 Punti di vista Nord Est Sud Ovest’, 2009. Sopra: ‘Inverosimi­lmente’, 2014
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