La Siria torna a Ginevra
Ginevra/Beirut – «Non accettiamo precondizioni sui negoziati per la Siria da nessuna delle parti, e tutte quelle coinvolte devono collaborare con l’obiettivo comune di elezioni libere ed eque sotto la supervisione dell’Onu». Staffan de Mistura ha fatto la voce grossa, alla vigilia dell’ottavo round negoziale di Ginevra sulla Siria, sapendo bene, tuttavia, che non è dall’Onu, del quale è inviato speciale nel Paese, che verrà risolta la crisi. La sorte della Siria, in effetti, è in mani altrui, russe in particolare. Mosca – che ancora ieri ha negato la partecipazione dei propri aerei al bombardamento di aree “sotto il controllo dell’Isis”, costati la morte di ottanta civili – ha quasi raggiunto il proprio obiettivo, insediandosi nella regione come principale attore strategico. Tanto che la sorte stessa di Bashar al Assad non è più in testa alle preoccupazioni del Cremlino. Putin stesso ha sollecitato, tre giorni fa, Damasco e le opposizioni siriane (che per la prima volta, “convinte” dall’Arabia Saudita, si presenteranno a Ginevra con una delegazione congiunta) a elaborare un piano che tratteggi la forma istituzionale del nuovo Stato, che comprenda una nuova Costituzione e preveda elezioni tenute sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Bypassando la questione della permanenza di Assad al vertice dello Stato, che per le opposizioni stesse resta una condizione irrinunciabile. Niente di nuovo, se non che l’esposizione di Putin in persona farebbe supporre un ruolo più attivo di Mosca nel negoziato. Tanto più che la sconfitta dell’Isis sul terreno ha sgomberato il campo da un’ambiguità di fondo: ora definire “terroriste” in blocco tutte le opposizioni diventa più problematico. Ed è forse per questo che fino all’ultimo la delegazione governativa siriana non ha confermato la propria presenza a Ginevra?