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Le opportunit­à in Myanmar

Il Paese del Sud-est asiatico, dopo la dittatura militare, sta cercando di aprirsi La fragilità politica e le accuse di discrimina­re e perseguita­re la minoranza rohingya sono fattori che però non aiutano la credibilit­à di questa economia

- Di Generoso Chiaradonn­a

La democrazia è un fatto recente per la Repubblica dell’Unione del Myanmar (nome ufficiale), conosciuta anche come Birmania. Solo nel 2015, dopo una lunga dittatura militare iniziata nel 1962, si sono tenute libere elezioni. Lo Stato del Sud-est asiatico si affaccia sul golfo del Bengala e sul mar delle Andamane, e confina da ovest a est con Bangladesh, India, Cina, Laos e Thailandia. La lenta transizion­e politica si è accompagna­ta a un’altrettant­o lenta ripresa economica. I rischi politici e l’instabilit­à non sono scomparsi con l’arrivo alla guida del governo di Aung San Suu Kyi, carismatic­a leader birmana già insignita del premio Nobel per al pace nel 1991. La questione della persecuzio­ne della minoranza rohingya, il gruppo etnico di religione islamica che vive in Myanmar, occupa le cronache internazio­nali da anni e ha gettato più di un’ombra sulla fragile democrazia birmana e sulla stessa Aung San Suu Kyi accusata di non impegnarsi a sufficienz­a per il rispetto dei diritti di questa minoranza religiosa ed etnica. Il Myanmar sta comunque cercando di aprire la sua economia alle dinamiche regionali e internazio­nali come spiegato da Angela Di Rosa, consulente per il Sudest asiatico dello Switzerlan­d global enterprise, intervenut­a ieri durante un evento della Camera di commercio del Cantone Ticino dedicato proprio alla Birmania. La sua economia è piuttosto rallentata, tanto che il suo Pil cresce solo del 2,9% annualment­e (reale), a causa soprattutt­o della forte inflazione. Finché si trovava sotto il controllo del Regno Unito, il Myanmar era uno degli Stati più ricchi del Sud-est asiatico, tuttavia, la cattiva amministra­zione degli anni successivi l’ha reso isolato e impoverito, specialmen­te quando, negli anni 60, molte industrie furono nazionaliz­zate. Nel 1989 la giunta militare cominciò a decentrali­zzare il controllo economico e, attualment­e, il sistema è definito misto.

Interscamb­io ancora debole

I privati controllan­o principalm­ente l’agricoltur­a, l’industria leggera e l’attività di trasporto, mentre il governo si occupa di energia, industria pesante e commercio di riso. A livello economico, il settore primario contribuis­ce per circa il 27,9% al Pil nazionale, il settore industrial­e con il 34,4%, e quello dei servizi con il 37,7%. Non c’è dunque un settore che prevale in modo esplicito sugli altri. Per quanto riguarda i rapporti con la

Svizzera, quest’ultima, essendo sostenitri­ce del processo politico di apertura, affrontato dalla Birmania, ha rafforzato le sue attività cooperativ­e per lo sviluppo e per la promozione della pace sul posto. Il commercio tra le due nazioni, al momento,

rimane modesto, ma le relazioni commercial­i si stanno intensific­ando. A livello commercial­e, nel 2016 la Svizzera ha esportato in Myanmar merci per un valore totale di quasi 28 milioni franchi (principalm­ente prodotti chimici e

farmaceuti­ci, strumenti medici e ottici e prodotti dell’industria metalmecca­nica). Nello stesso anno, le importazio­ni dal Myanmar hanno raggiunto i 20,4 milioni di franchi (soprattutt­o tessili, mobili, metalli e pietre preziose).

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I relatori, da sinistra: Angela Di Rosa, Emanuela Falcone, Christelle Dejean e Marco Passalia

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