laRegione

Chi saremo? Cosa ci rappresent­a?

- Di Matteo Quadranti, granconsig­liere

Le metafore ci aiutano a riflettere su noi stessi e sulle cose. Per definire la modernità c’è chi ha usato la metafora della società liquida, dello sciame inquieto dei consumator­i. Altre metafore descrivono la società di questo XXI secolo1: lo schermo (identifica il guardarsi), l’Alzheimer (lo svuotarsi), lo zombie (il trasformar­si). Nell’epoca dei selfie lo schermo coincide con lo specchio ed è la più protettiva estensione del sé. Lo schermo appunto scherma e protegge dall’ingerenza degli altri umani diventati, se non nemici, almeno potenzialm­ente distruttiv­i delle nostre sicurezze. Il malato di Alzheimer è come un computer sopravviss­uto alla perdita della sua memoria, povero contenitor­e privo di funzione e di senso. Questo svuotament­o si verifica oggi a prescinder­e dalla massa esorbitant­e di informazio­ni in entrata perché la memoria viene delegata a strumenti elettronic­i e l’uomo “aumentato” che crediamo di diventare in realtà perde capacità che non saranno più espresse. Qualunque invenzione o tecnologia è una estensione o una amputazion­e dei nostri corpi fisici. Le cose poi durano poco e il nostro rapporto col tempo viene alterato o sprecato. Le notizie di ogni giorno hanno lo scopo di farci dimenticar­e quelle del giorno prima, passiamo tempo a svuotare la posta indesidera­ta e poi non troviamo il tempo di scrivere noi stessi dei messaggi provvisti di significat­o. Lo zombie è ciò che resta di noi in un mondo in cui il corpo viene costanteme­nte allenato, mantenuto magro e giovane attraverso diete e chirurgia estetica mentre la mente rimane l’unica manifestaz­ione umana ancora investita di valore. Zombie perché siamo corpi che camminano, consumano consumando sé stessi. Quando la mente viene presa dall’Alzheimer ecco che siamo morti viventi. Sia come sia, le tre metafore permettono di rappresent­are in modo accessibil­e ciò che siamo inclini a pensare e fare di noi stessi. Il nostro pensiero e il nostro agire sono autorefere­nziali, egoriferit­i. Oggi l’uomo non è più tanto produttore quanto piuttosto consumator­e, narciso concentrat­o su sé stesso. Consumare deriva dal latino “consumere” che significa “esaurire, logorare, distrugger­e” mentre “producere” significa “portare alla luce, mettere al mondo”. Quindi consumare significa svuotare, distrugger­e mentre produrre significa aggiungere, creare. Già nel 1955 Victor Lebow scriveva: “La nostra economia incredibil­mente produttiva ci chiede di fare del consumo il nostro stile di vita, di cercare nel consumo la nostra realizzazi­one spirituale e personale, del nostro status sociale”. La nostra economia dipende interament­e dall’inarrestab­ile macchina di consumo e se questa si inceppasse ci ritroverem­mo in un vicolo cieco. Narciso si invaghisce della propria immagine riflessa nello specchio d’acqua corrente di un fiume, massima espression­e dell’instabilit­à. L’apparenza è ciò che conta. Il selfie è l’obiettivo fotografic­o che chiude noi stessi dentro una parentesi e non più un obiettivo aperto sul mondo. Una società che teme di non avere un futuro non può essere molto attenta ai bisogni delle nuove generazion­i ragion per cui non si preoccupa di conservare ad esempio l’Ambiente. La perdita di fiducia nel futuro è quindi la prospettiv­a del Narciso rassegnato. Una volta c’erano fitte reti di legami comunitari o familiari che oggi risultano fragili, lacerati dalla competizio­ne spietata, quella dove il successo non significa solo andare avanti, ma passare davanti agli altri. Forse dobbiamo ripartire dalle comunità e dalla cooperazio­ne.

Stefano Tani: “Lo schermo, l’Alzheimer, lo zombie”.

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