La legge del patriarcato
La consigliera nazionale e copresidente di alliance f: le donne per essere riconosciute devono eccellere, gli uomini possono anche essere ordinari
Kathrin Bertschy, il ‘caso Buttet’ ha avuto l’effetto di un ciclone a Palazzo federale. Come lo sta vivendo?
Non trovo sorprendente che oggi in Svizzera ci troviamo a discutere di queste cose. E direi che era ora. Il sessismo c’è a Palazzo federale tanto quanto nella società o nelle aziende. Quel che mi stupisce semmai è che si debba sempre richiamare l’attenzione sul fatto che in Svizzera continua a prevalere una cultura patriarcale: abbiamo una legislazione di stampo patriarcale, c’è disprezzo e mancanza di rispetto per le richieste delle donne in Parlamento. La parità salariale, la equa rappresentanza delle donne ai vertici delle aziende: le si voleva stralciare dal programma di legislatura. Lo scorso anno e quest’anno dalla commissione competente sono arrivate proposte per dimezzare il budget dell’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo. Con 14 collaboratrici e collaboratori, è il più piccolo ufficio dell’amministrazione federale: si occupa di violenza domestica, molestie sessuali, di tutti quei temi che, anche se non lo si vuole ammettere, continuano ad essere dei grossi problemi in Svizzera. I mass media ne riferiscono saltuariamente, preferiscono i casi eclatanti: ma è anche dei problemi strutturali che bisognerebbe parlare.
Yannick Buttet parla di problemi di coppia e di un rapporto problematico con l’alcol, quasi a voler giustificare il suo comportamento. Cosa ne pensa?
Non voglio parlare del caso specifico. Ma se effettivamente ha molestato delle donne in Parlamento, questo è inaccettabile: è qualcosa che non può essere tollerato. E non si può scusare un simile comportamento con delle giustificazioni qualsiasi.
Molestie sessuali a Palazzo federale: si tratta di casi singoli, o c’è qualcosa di più?
Credo siano casi singoli di uomini che – a Palazzo come nella società – non riescono a comportarsi in maniera adeguata, uomini che non conoscono certi limiti.
Determinati comportamenti danneggiano non soltanto le donne, ma anche quegli uomini che non rientrano nei ‘clichés’ di genere. Lo si percepisce anche a Palazzo federale?
Ripeto: non è che a Palazzo le cose siano diverse che altrove. In Parlamento, così come nell’economia, abbiamo un clima nel quale spesso il talento, le competenze, le prestazioni non sono riconosciuti, apprezzati e promossi a causa di strutture patriarcali che giocano a sfavore delle donne. Anche in Parlamento, perché una donna sia davvero accettata deve essere sopra la media, eccellere. Un uomo al contrario può essere ordinario. Questo sì, lo si sente. Ed è qualcosa di spiacevole anche per quegli uomini che non vogliono lavorare sulla base di questi clichés.
Le donne nel Parlamento federale sono poche; e presto potremmo addirittura avere un Consiglio federale con una sola donna. Cosa si può fare
per correggere questa situazione?
Molte donne sono spaventate all’idea di fare politica in un contesto impregnato di cultura patriarcale: una cultura che va cambiata. Non è possibile che la metà [femminile] della popolazione oggi non sia adeguatamente rappresentata nelle istanze dove si prendono le decisioni politiche. Questa situazione non è più sostenibile. Come alliance f chiediamo ad esempio che nel Consiglio federale vi siano almeno tre o quattro donne; incitiamo i partiti a inserire nelle loro liste solo donne che hanno pari possibilità degli uomini di essere elette; e abbiamo sviluppato il progetto ‘clever wählen’ (‘eleggere in modo intelligente’): elenchiamo le donne che hanno effettive chance di essere elette, affinché queste vengano votate. Ma la realtà è che al giorno d’oggi in Svizzera le donne in politica hanno ancora un significativo ritardo: continuano ad essere l’eccezione, non la normalità.