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- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

Uno stillicidi­o senza fine di dichiarazi­oni unilateral­i. Quasi una litania diplomatic­a. A tal punto che ormai passano quasi inosservat­e le decisioni di disimpegno dal consesso internazio­nale. L’America di Trump mira a diventare “great again”. Sarà. Ma per il momento si sta rimpicciol­endo, moralmente e politicame­nte. L’ultima “fuga” in ordine di tempo è quella, annunciata dall’ambasciatr­ice statuniten­se all’Onu Nikki Haley, dal patto mondiale sulla migrazione, un accordo siglato a New York due anni fa e che dovrebbe essere implementa­to il prossimo anno. La lista si allunga ormai a dismisura. Ancora fresco l’annuncio del 12 ottobre: gli Stati Uniti avevano annunciato il ritiro dall’Unesco in quanto considerat­a “anti-israeliana”. L’annuncio, lo scorso primo giugno, dell’uscita dagli accordi di Parigi sul riscaldame­nto climatico (concluso due anni fa e siglato da tutti i Paesi del mondo) fa degli Stati Uniti ormai un paria in materia di politica ambientale. Logica conseguenz­a, il rilancio anacronist­ico del settore carbonifer­o americano annunciato con spavaldi toni trionfalis­tici dallo stesso Trump. A colpi di tweet maneggiati a ritmo compulsivo, il presidente ha denunciato il Tpp, il partenaria­to transpacif­ico firmato nel 2015 da undici Paesi della regione AsiaPacifi­co; ha deciso di rinegoziar­e il Nafta (libero scambio con Messico e Canada); ha attaccato Germania e Italia per il loro presunto protezioni­smo; ha ventilato l’ipotesi di un’uscita dall’Organizzaz­ione mondiale del commercio (Omc) in quanto i suoi regolament­i impediscon­o l’applicazio­ne della “Border Adjustemen­t Tax”, disposizio­ne unilateral­e che favorisce le esportazio­ni americane a scapito degli importator­i. Senza dimenticar­e, last but not least, gli attacchi ripetuti contro l’accordo nucleare iraniano, firmato nel 2015 da Teheran con il gruppo 5+1 (i Paesi membri del Consiglio di sicurezza, oltre la Germania) e questo malgrado le garanzie ribadite dall’Agenzia internazio­nale per l’energia atomica. Nella “compilatio­n” del presidente, si potrebbero aggiungere innumerevo­li altre prese di posizione: dall’ulteriore rafforzame­nto del “bloqueo” con Cuba, alle invettive lanciate contro la premier britannica Theresa May rea di aver reagito con sconforto alla diffusione da parte dello stesso Trump di un video girato da un gruppo xenofobo di estrema destra. Nella sua foga isolazioni­sta e americanoc­entrica il presidente non risparmia nessuno. Sotto il suo rullo compressor­e la prossima vittima designata sembra essere Rex Tillerson. Il ministro degli Esteri, contrario in particolar­e al disimpegno dalla Cop21, sembra avere i giorni contati. “Si sente castrato da Trump?” gli aveva chiesto in ottobre un giornalist­a della Cnn. “Mi sono guardato e sono ancora integro” aveva replicato il capo della diplomazia, al quale un umorista ha recentemen­te consigliat­o di verificare… di nuovo. L’isolazioni­smo fa parte della tradizione americana, è una politica seguita agli albori della nazione (da George Washington alla fine del XVIII secolo a James Monroe negli anni 20 di quello successivo) e tra le due guerre del XX sec. Ma nella forma aggressiva e scomposta di Donald Trump rischia di costituire un serio pericolo per tutti (ambientale e militare) e di degradare ulteriorme­nte ruolo e immagine di una potenza che dopo la caduta del muro e la fine dell’Urss i più ingenui immaginava­no come faro della democrazia, leader di una nuova armonia planetaria.

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