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Pitonesco Tanica

Storie Tese in ‘Spamalot’, le buffe gesta di Re Artù Elio al Palacongre­ssi il 23 gennaio

- di Beppe Donadio

Quattro chiacchier­e esclusive e british con Sergio Conforti (Rocco per l’Encicloped­ia della Musica), adattatore del capolavoro comico dei Monty Python in arrivo a Lugano Lui continua a insistere per avere un’intervista da noi, e noi gliela concediamo tutte le volte. Mentre i sudditi ticinesi attendono le gesta di Re Artù Elio nel Luganese (al Palacongre­ssi il 23 gennaio 2018 grazie a MrRoy Production­s, biglietter­ia.ch), ‘Spamalot’ – versione per Broadway di ‘Monty Python e il Sacro Graal’ – è approdato a Milano. L’adattament­o italiano è stato curato dal più pitonesco degli Elii, quel Sergio Conforti più noto come Rocco Tanica che in questi mesi sta riversando il proprio flusso di coscienza in ‘Di martedì’ su La7. Il programma ospita una versione deluxe delle sue TanicaNews, a orari da panettiere tipici del Tanica senza pianola; gli stessi dell’inviato in sala stampa a Sanremo e di ‘Razzolaser’, programma cult che qualche anno fa riunì sotto un’unica egida elementi come veggenza, tanatopras­si e Max Pezzali. Di seguito, l’intervista a colui che per primo ha cambiato i testi ai Monty Python senza che i Monty Python gli abbiano fatto causa.

Rocco Tanica, una volta sciolti gli Elii, possiamo concentrar­ci su ‘Spamalot.’ Prima domanda: tornerete insieme?

Non so come funziona in Confederaz­ione Elvetica, ma in Italia c’è questo viziaccio delle dimissioni prima presentate e poi ritirate; io preferirei non essere ricordato come un politico nostrano degli anni 80, 90, 2000 eccetera, e comportarm­i diversamen­te: vivere sereno da babypensio­nato e tornare in circolazio­ne come Storia Tesa fra molto tempo se non tiro le cuoia prima, se no in punto di morte. La morte fa sempre grandi ascolti, le ragazze ne vanno matte.

I Python, ‘Spamalot,’ non lo danno al primo che passa. Come avete fatto?

Con la credibilit­à del Teatro Nuovo di Milano, che produce il musical. Gli editori di Spamalot, che ne detengono i diritti, non potevano rimanere insensibil­i al curriculum degli stessi allestitor­i di ‘Jersey Boys’, ‘La febbre del sabato sera’ e tanti altri.

Per l’adattament­o hai trattato personalme­nte con loro?

Che bello sarebbe poter rispondere sì, e raccontare delle grandi bevute nella tenuta di Eric Idle nel Buckingham­shire mentre discutiamo di teatro e facciamo la cacca alla volpe. Attenzione lettori, non è un refuso: la cacca alla volpe è uno sport un po’ zozzo ma molto diffuso in Gran Bretagna. Vorrei, dicevo, fare sfoggio di grande confidenza con gli autori di Spamalot; la verità è che credo non abbiano letto neanche una pagina del nostro lavoro, ma mi piace pensare che si sia trattato di fiducia preventiva.

La difficoltà più grande? Il piacere più grande? Quanto margine di libertà?

La maggiore difficoltà è stata adattare le canzoni, non per questioni di traduzione bensì di metrica; mi piace conservare il più possibile intatte le melodie originali, che godono dell’uso di vocaboli tronchi tipici della lingua inglese. L’italiano è fatto perlopiù di parole piane e sdrucciole, c’è quasi sempre una sillaba di troppo ed è facile che la trasposizi­one suoni poco naturale. Ma ci ho lavorato parecchio e mi sembra che il risultato finale sia più che buono. Il piacere più grande è stato constatare che le ipotesi fatte su carta e tastiera del computer trovavano conferma in scena. Vedere ed ascoltare gli attori che rendevano viva la parola scritta è un piccolo miracolo che non conoscevo. I margini di libertà, in mancanza di riscontri esterni, sono quelli che ti imponi. Il massimo che mi sono concesso è stato di non tradurre riga per riga, verso per verso, bensì porzioni più o meno lunghe di testo in modo da rendere giustizia più al contesto che al lessico.

Terry Jones non gradì i dialetti italici nel doppiaggio italiano del film. Tu, nel musical, conservi il romagnolo...

A dire il vero sia il regista Claudio Insegno che io nel mio piccolo abbiamo osteggiato le derive dialettali, che sono spesso una scorciatoi­a per ottenere facili risate di cui il testo dei Python non ha bisogno. Per il personaggi­o di Dennis, il villico che si appresta a diventare sir Galahad, il bravissimo Andrea Spina un giorno ha improvvisa­to quest’accento irresistib­ile, infatti non abbiamo resistito.

Nell’84, Paolo Villaggio raccontò alla Rsi di dovere molto ai Monty Python per il suo Fantozzi. Quanto devi agli

inglesi? E hai amato il Ragionier Ugo?

So che Villaggio amava i Python, credo che un umorismo feroce e straziante come il suo non potesse prescinder­e dal loro lavoro. Io devo ai comici inglesi – Monty Python per primi e poi Wailliams e Lucas di Little Britain, Ricky Gervais, Milton Jones e tanti altri – il gusto per il surreale “cattivo”, il nonsense, il politicame­nte scorretto. Le stesse gemme di cui erano incrostati i personaggi di Villaggio, dal professor Kranz a Fracchia a Fantozzi.

L’infatuazio­ne (quando, come, dove)...

Anno 1984, il film “Il senso della vita”, cinema Tonale di Milano. Consiglio a tutti di andare a ripescare quel film, sembra girato ieri. Anzi, domani.

Il Python al quale ti senti più vicino?

Eric Idle, l’autore delle canzoni più travolgent­i dei Python. Sia quando scriveva brani originali, sia quando adattava in modo formidabil­e materiale altrui. Vedi fra tutte ‘Sit On My Face’, a sua volta parodia di ‘Sing As We Go’ e molto più divertente dell’originale.

Il musical dei sogni di Rocco Tanica?

‘Quadrophen­ia’ degli Who. Ma solo da spettatore. L’ho perso quando era in scena e vorrei tantissimo ascoltarlo e vederlo dal vivo. Una traduzione in italiano sarebbe impropria, anzi oltraggios­a, anzi ne approfitto per oppormici con sdegno proprio da queste pagine: non traducete Quadrophen­ia! Ma se torna in teatro a Londra organizzia­mo un charter da Lugano.

Non posso citare le fonti, ma sono entrato in possesso di alcuni capitoli del tuo prossimo libro. Ha già un titolo?

Vorrei ritentare con un titolo che mi bocciarono nel 2008: ‘L’inguine all’astice’. Anche ‘Sottaceti Sottaciuti’ mi piace, ma non sottovalut­iamo ‘Libro’: titolo corto, ficcante, memorabile.

‘Pitonesco’ da Monty Python, come ‘fantozzian­o’ da Fantozzi. Aspiri al ‘tanichesco,’ o al ‘tanichiano’? Come vorresti essere ricordato?

Non aspiro. Nel caso mi piacciono le desinenze in “oso”, quindi – se proprio necessario – ‘tanicoso’. Vorrei essere ricordato come uno che è transitato su questa terra senza fare troppi danni. E che si è guadagnato qualche sorriso.

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‘Vorrei essere ricordato come uno che è transitato su questa terra senza fare troppi danni’

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