laRegione

Yannick Buttet, resta solo la porta!

- Di Matteo Caratti

Non c’è esempio più eloquente di quello in cartellone da qualche giorno sotto la cupola di Palazzo federale per spiegare cosa significhi per un partito (e anche per un suo esponente) essere in grado di fare una valutazion­e autonoma di carattere etico del comportame­nto di un proprio rappresent­ante. Sapersi cioè assumere le proprie responsabi­lità, indipenden­temente da cosa farà o meno la magistratu­ra, in virtù dei principi e dei valori, del proprio bagaglio etico, culturale e anche storico. Il caso Buttet, che vede al centro del dibattito pubblico il consiglier­e nazionale (appartenen­te all’ala conservatr­ice del Pdc e difensore della famiglia tradiziona­le!), fermato dalla polizia perché stava per l’ennesima volta ‘stolkerand­o’ la sua ex amante, ripropone proprio questa questione. Da un lato c’è il partito nazionale più che imbarazzat­o, perché Buttet occupa incarichi importanti a livello federale: è consiglier­e nazionale e vicepresid­ente del Ppd svizzero. Basta dunque una macchia – ma qui siamo di fronte a colpe già parzialmen­te ammesse! – per imbrattare tutto il partito nazionale. Se poi le macchie sono più di una, visto il vizio del bere, che lo portano ad assumere atteggiame­nti di stalking all’ex amante vallesana finiti in Procura e – come poi è emerso – anche attenzioni inappropri­ate verso colleghe parlamenta­ri e giornalist­e a Berna, è chiaro che difendere un simile politico diventa pressoché impossibil­e. E inaccettab­ile. Tant’è che i vertici nazionali del Ppd gli hanno da subito fatto capire che era il caso di farsi da parte e non solo di autosospen­dersi dalla carica di vicepresid­ente. Ieri, passato il fine settimana, Buttet si è dimesso dai vertici partitici, verosimilm­ente cinque minuti prima che i suoi lo destituiss­ero. I gravi fatti emersi non sono invece ancora stati da lui ritenuti sufficient­i, per determinar­e una rinuncia alla carica di consiglier­e nazionale e di sindaco. Ci pare di aver capito che il politico abbia preferito guadagnare tempo, optando per una (comunque salutare) cura di disintossi­cazione dall’alcol e attendendo così fors’anche il risultato dell’inchiesta penale che lo concerne. Ma, ancora una volta, ecco la domanda: un politico e, se necessario, lui in tandem col suo partito, non dovrebbe fare una schietta valutazion­e della compatibil­ità di quanto successo, dell’impatto dei fattacci sulla sua credibilit­à e saper tirare già da subito le sue conclusion­i? La nostra risposta è sì. A perdonarlo, una volta disintossi­cato, sarà casomai sua moglie. Non la politica. Nel caso Buttet ancora una volta (dimissioni dalla vicepresid­enza a parte), il deputato-stalker preferisce tirarla alla lunga, cavalcare l’onda, sperando che il tempo faccia dimenticar­e. Un’ultima consideraz­ione: scoppiato il caso sotto la cupola qualcuno ha chiesto l’apertura di una sorta di ‘sportello di consulenza’. Non esageriamo. Osiamo sperare che i deputati alle Camere (e i giornalist­i al loro seguito) siano sufficient­emente adulti e vaccinati da sapersi autonomame­nte tutelare da mani morte o peggio ancora…

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