laRegione

Un’opportuna tabula Rasa

- Di Stefano Guerra

Da un anno abbiamo una legge che bene o male applica l’articolo costituzio­nale 121a, frutto del risicato sì popolare del 9 febbraio 2014 all’iniziativa ‘contro l’immigrazio­ne di massa’; il referendum contro questa soluzione eurocompat­ibile (ossia senza contingent­i né tetti massimi, contrari all’accordo sulla libera circolazio­ne delle persone) è fallito; le relative ordinanze basate sulla ‘preferenza indigena light’ (la corsia preferenzi­ale accordata ai disoccupat­i iscritti agli uffici regionali di collocamen­to nella ricerca di un impiego nei settori ad elevato tasso di disoccupaz­ione) entreranno presto in vigore; l’Ue non ha praticamen­te nulla da eccepire e così, dopo anni di burrasca, tra Berna e Bruxelles – lo ha confermato la recente visita del presidente della Commission­e europea Jean-Claude Juncker – il clima si è rasserenat­o. Centrato l’obiettivo primario (salvare gli accordi bilaterali), ai promotori dell’iniziativa ‘Rasa’ (‘Raus aus der Sackgasse’, ‘Fuori dal vicolo cieco’) restavano quasi esclusivam­ente argomenti di natura giuridica per giustifica­re il mancato ritiro del testo lanciato nell’ottobre 2015 allo scopo di – né più né meno – stralciare dalla Costituzio­ne contingent­i, tetti massimi e preferenza agli svizzeri. Ancora poche settimane fa, il noto costituzio­nalista Andreas Auer – membro del comitato ‘Rasa’ – scriveva che la revisione della legge sugli stranieri varata dal Parlamento consentire­bbe di eliminare solo in parte e provvisori­amente l’insicurezz­a del diritto provocata dal voto del 9 febbraio 2014. In altre parole: soltanto un ‘sì’ all’iniziativa Rasa avrebbe permesso di ‘sintonizza­re’ di nuovo la Costituzio­ne (con i suoi contingent­i, tetti massimi, la preferenza agli svizzeri, il divieto di concludere nuovi trattati) e la legge (‘preferenza indigena light’ sul mercato del lavoro). La certezza del diritto poteva essere ripristina­ta anche con un controprog­etto indiretto. Ma il Parlamento non ne ha voluto sapere. Rimasti soli, senza appoggi politici di rilievo, di fronte una campagna che si sarebbe probabilme­nte conclusa con un pericoloso patatrac alle urne, i promotori dell’iniziativa Rasa – diventata nel frattempo anacronist­ica – hanno gettato la spugna. Con tanti saluti alla auspicata ‘coerenza dell’ordine giuridico’. La loro decisione è nonostante tutto comprensib­ile. E opportuna. L’iniziativa è stata «importante e giusta», come hanno detto ieri alcuni dei promotori, ricordando­ne la funzione di spada di Damocle avuta durante i lavori parlamenta­ri. Ma adesso è giunto il momento di mettere una pietra sopra il 9 febbraio; e di guardare avanti. Nei prossimi anni le svizzere e gli svizzeri avranno altre occasioni per dire (ancora una volta) cosa ne pensano della libera circolazio­ne e degli accordi bilaterali in generale. Potranno finalmente chiarire la loro posizione riguardo al quesito che l’iniziativa ‘contro l’immigrazio­ne di massa’ ha lasciato in sospeso: cosa conta di più, la gestione autonoma dell’immigrazio­ne o la libera circolazio­ne delle persone? A braccetto con l’Azione per una Svizzera neutrale e indipenden­te, l’Udc si appresta a lanciare una nuova iniziativa popolare che, questa sì, mira esplicitam­ente a liquidare l’intesa con l’Ue sulla libera circolazio­ne. Il Parlamento potrebbe occuparsen­e già nel 2019 (prima si voterà su un’altra iniziativa Udc non meno problemati­ca sotto il profilo dello Stato di diritto, quella detta ‘per l’autodeterm­inazione’). Il piatto forte verrebbe così servito in piena campagna per le elezioni federali (settembre 2019), condito verosimilm­ente con un subdolo legame tra libera circolazio­ne e islam radicale, nuovo fumoso nemico individuat­o dal partito di Albert Rösti.

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