Il chirurgo che ospita tre rifugiati
Ama la musica classica e si definisce un chirurgo più tenace che rapido. Militante dello sviluppo sostenibile, si sposta in bici o in treno, i suoi soldi sono in una banca etica. Figlio di un rifugiato ebreo salvato da una famiglia socialista ticinese, il
Il prof. Pietro Majno-Hurst, epatologo, da gennaio sarà all’Eoc e dirigerà la chirurgia: ‘Attireremo l’eccellenza’. Il chirurgo, padre di 4 figli, non ha l’auto e cresce nella sua casa tre rifugiati eritrei.
È tra i migliori chirurghi epatici della Svizzera, con oltre 500 trapianti di fegato all’attivo e altrettanti interventi in chirurgia del fegato. Il prof. Pietro Majno-Hurst, 57 anni, lascia l’ospedale Hug di Ginevra per l’Eoc, dove dirigerà la chirurgia dell’Ospedale regionale di Lugano e in seguito dell’intero Eoc. Una ottima notizia per un cantone che soffre talvolta di un complesso di inferiorità verso i grossi centri universitari. «Collaboro con l’Eoc da anni, a Lugano posso contare su una ottima struttura, ho ritrovato i rianimatori di Ginevra (il primario di medicina intensiva Merlani e il suo vice Conti). Al Civico, con il viceprimario Balzarotti ma anche con radiologi, oncologi e anestesisti di prim’ordine, abbiamo creato una chirurgia epatica di altissima qualità. Questa chirurgia non è più fatta dalle Maria Callas, ma da quartetti, è il team che conta, e deve essere multidisciplinare. Vengo per aiutare affinché lo stesso avvenga per le altre specialità», dice. Lo incontriamo all’Ospedale civico, ci riceve nello studio di un collega.
C’è una forte concorrenza tra nosocomi elvetici, tra pubblico e privato, per ‘sfilarsi’ i pazienti, per fare numero e avere i mandati. Dove traghetterà le chirurgia ticinese?
Viviamo un momento di transizione, da una chirurgia generale ad una specialistica. L’attuale primario (il prof. Raffaele Rosso) ha saputo preparare molto bene il terreno, definendo aree di specialità con professionisti di grande valore, che sanno fare anche interventi di base. Per loro ha ottenuto, oltre al mandato Mas per i politraumatizzati, la conferma dei mandati per fegato, pancreas e retto. Il Ticino ha i numeri per fare una chirurgia specialistica di alta qualità.
Ci sono pazienti che vanno oltre Gottardo quando potrebbero farsi operare in Ticino: c’è un problema di qualità?
Non tutti i settori della chirurgia sono già ad un livello di eccellenza, ma perlopiù non ne sono lontani. Coi prossimi pensionamenti ci adopereremo per reclutare chirurghi con un profilo specialistico più definito, affinché la qualità sia equivalente o superiore agli altri centri nazionali. Il modello che propongo è di chirurgie prestigiose sotto la responsabilità di ciascuno dei primari degli ospedali regionali, di livello accademico, con team multidisciplinari cantonali, e collaborazioni con altre Università. Per esempio, lo stomaco potrebbe essere responsabilità del primario del San Giovanni di Bellinzona, l’endocrino del primario di Mendrisio. In alcuni ambiti saremo in partenariato con altri centri specialistici, anche privati, come abbiamo fatto a Lugano per la chirurgia del fegato.
Ora non sembra ci sia la fila per venire all’Eoc dalla Svizzera: troppo ottimista?
Per il concorso alla mia nomina (primario, capo dipartimento Eoc e prof. USI, ndr) c’erano 17 candidati! Come lo faccio io, lo faranno altri colleghi se nel loro campo potranno contare su tutta la popolazione di 350mila abitanti del Ticino e non solo su quella del loro ospedale regionale, e sulla collaborazione di centri di eccellenza, come lo Iosi, e del privato.
Tra pubblico e privato, soprattutto in chirurgia c’è molta concorrenza, col risultato che il Ticino rischia di perdere il mandato Mas per la bariatrica complessa. Che ne pensa?
Voglio uscire dal clima di concorrenza e favorire la collaborazione: lavoro da 20 anni con i colleghi dell’Epatocentro della Moncucco diretti dal prof. Cerny e continuerò a farlo. Quando c’è fiducia tutto è più semplice, sempre nel rispetto di limiti definiti da criteri scientifici. Negli anni abbiamo fatto trapianti di fegato a circa 150 pazienti ticinesi. Questo dimostra la grande fiducia di chi ce li ha affidati e dei pazienti. L’abbiamo guadagnata offrendo qualità, trasparenza e disponibilità. Continueremo così.
Perché ha dedicato la sua vita al fegato?
È un organo riservato, che non si rivela al primo sguardo, la sua anatomia è nascosta; richiede tempo e pazienza per conoscerlo... è abbastanza adatto a me: mi considero un chirurgo preciso, non rapido, ma delicato e molto paziente.
Cosa c’è di vero nel detto popolare ‘farsi venire il fegato grosso dalla rabbia’?
La rabbia fa male in generale, non solo al fegato: è una ‘passione triste’, tossica, che va allontanata. Si dice però anche ‘avere fegato’, avere coraggio. Il fegato è un organo quieto, costante, una industria forte e tranquilla, non lo si sente palpitare come il cuore.
Ci spiega il suo amore per il Ticino?
La famiglia è milanese da tempo, ma mia nonna è nata a Brissago, dove ho passato molte estati della mia infanzia. C’è anche un altro legame molto profondo: mio padre, ebreo da parte di madre, fu accolto come rifugiato da una famiglia ticinese durante la guerra. Il Ticino gli salvò la vita. Diventò poi avvocato ed ebbe, per incarichi pubblici che in Italia gli dettero solo frustrazione, grande aiuto e soddisfazioni dalle autorità elvetiche.
A lei la Svizzera ha dato soddisfazioni?
Molte. Personali e professionali. Amo questo paese dove i cittadini sono vicini alle loro istituzioni, anche se all’inizio sono diventato svizzero soprattutto per amore della mia prima moglie, radio-oncologa a Ginevra; ci siamo conosciuti quando eravamo studenti. Abbiamo avuto quattro figli e una vita felice per 28 anni, ma è deceduta per un tumore sei anni fa. Oggi sono risposato con Samia Hurst, che dirige l’Istituto di bioetica all’Università di Ginevra e che ci ha adottato tutti, me e i nostri quattro figli, in modo straordinario.