La sfida di Ullah a Trump
Washington – “Trump hai fallito nel proteggere il tuo Paese”: questo il derisorio messaggio di sfida per il presidente americano postato lunedì su Facebook da Akayed Ullah mentre si stava mescolando alla folla del principale terminal di Manhattan per farsi esplodere. Il giovane immigrato bengalese aveva postato anche una dichiarazione per informare altri sostenitori dell’Isis che stava compiendo un attacco in nome del gruppo terroristico, come ha ribadito poi agli investigatori dal suo letto di ospedale, dove è ricoverato per le ustioni causate dalla bomba artigianale che aveva fabbricato in casa. Il movente, ha confessato, è l’odio verso gli Usa, sostiene l’atto di accusa con cui ieri è stato incriminato davanti a una corte distrettuale di New York per vari reati di terrorismo. Reati per i quali Donald Trump è tornato a chiedere “le pene più severe previste dalla legge, inclusa la pena di morte nei casi appropriati”. Il presidente non ha quindi trascurato l’occasione di cavalcare i temi prediletti: la necessità, insieme al muro col Messico e al suo redivivo bando contro otto Paesi (nel quale non figura il Bangladesh), di cambiare le leggi sull’immigrazione. In particolare abolendo sia il sistema della lotteria dei visti sia quello della catena migratoria fondata sui legami di parentela, con i quali sono arrivati in Usa gli autori degli ultimi due attacchi. Secondo le indagini, il luogo dell’attentato era stato scelto per rievocare gli attacchi in Europa contro i mercatini di Natale. Ullah non ha precedenti nel suo Paese e non era “noto” all’Fbi. Ha cominciato a radicalizzarsi almeno dal 2014, ispirato dalla propaganda online dell’Isis, e ha fatto vari viaggi all’estero, visitando il Bangladesh negli ultimi mesi. Finora però non sono emersi legami diretti con organizzazioni terroristiche.