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Falsi nipoti: ‘Un reato odioso’

Entravano in azione in Svizzera per ‘incassare’ le richieste di aiuto in denaro fatte da telefonist­i in Polonia a ignari anziani: ‘Indovina chi sono?’. Poi scattava la truffa. In un caso consumata.

- Di Cristina Ferrari

Ventun mesi per il quarantenn­e, diciotto per il 52enne, giudicato complice e non correo, in quella che è stata definita una vera e propria banda intenta ad aggirare, dalla Polonia alla Svizzera, attraverso la cosiddetta truffa del falso nipote, anziani dai nomi ‘antichi’ scelti nell’elenco di local.ch. Sono stati, dunque, condannati ed espulsi dal territorio rossocroci­ato, per un periodo di dieci anni, i due polacchi, uno di origini rom (il più giovane), comparsi ieri davanti alle Assise correziona­li presiedute dal giudice Amos Pagnamenta che ha definito il reato «odioso, per il tipo di danno arrecato e il numero di vittime». L’uno, collettore del denaro (il quarantenn­e), l’altro autista e coordinato­re delle telefonate che sopraggiun­gevano dalla Polonia dove erano in azione i telefonist­i. In un solo giorno, era il 2 agosto scorso, erano riusciti a contattare sette vittime, residenti in diversi comuni del Luganese, e spacciando­si per un parente alla ricerca di un prestito per l’acquisto di un immobile, chiedevano la consegna di cifre che andavano da 10mila a 100mila franchi. Fortunatam­ente, in questi casi, tentando senza successo, anche per l’intervento di terze persone. In un caso, avvenuto, invece il giorno prima, mettendo in pratica la truffa riuscendo a incassare ben 25mila franchi. ‘Indovina chi sono?’ era la domanda che si sentivano porre una volta alzata la cornetta gli ignari anziani.

‘Si fa leva sul buon cuore’

«Un reato che fa leva sul cuore delle persone» ha commentato la procuratri­ce Chiara Borelli che nel corso della sua requisitor­ia aveva chiesto condanne da 20 a 23 mesi. «Impression­ante è la capacità – ha spiegato la magistrata i contorni di un reato che spesso è difficile da comprender­e, in particolar­e per la difficoltà nel condivider­e la facilità con cui un anziano crede alla richiesta – con la quale il telefonist­a entra in empatia con le vittime che finiscono per naufragare nella loro generosità e nel raggiro, anche dopo l’avvertimen­to di un funzionari­o bancario». Un reato ignobile incarnato in un «danno che porta l’anziano, nel cadere nel tranello –, ha sottolinea­to la pp – a provare vergogna, arrivando a tacere la truffa che rimane così spesso ‘in silenzio’». Prosciogli­mento e drastica riduzione della pena sono, invece, state le strade processual­i seguite dai due avvocati della difesa d’ufficio, Simone Creazzo per il 52enne e Daniele Iuliucci per il

40enne. «Un ingenuo, un bambino nel corpo di un adulto» la descrizion­e fatta da Creazzo del suo assistito per il quale ha chiesto la derubricaz­ione da correo a complice (poi accolta dalla Corte) anche per una vita, fin qui, costellata «né da ombre né da macchie». Diversa la posizione del 40enne, cresciuto nella comunità zingara polacca a ‘pane e furti e precedenti penali’: «Quale possibilit­à aveva fin da piccolo di vivere onestament­e? – è il monito lanciato da Iuliucci –. Lui che è rimasto però ai piedi della scala della gerarchia truffaldin­a, non scaltro criminale ma pedina inviata in Svizzera con tutti i pericoli in cui poteva incorrere». Prima della sentenza il giudice Pagnamenta aveva rispedito al mittente le ‘censure’ sollevate dalla difesa garantendo che il principio accusatori­o era stato assicurato, in particolar­e per le accuse rivolte loro di truffa, avvenuta nel marzo di quest’anno in Svizzera interna, a Basilea e a Berna.

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