Mezzo secolo fa, Genucchi
Scultore e valligiano, visitato nel suo atélier da Quasimodo e Montale, scelse il duro lavoro in montagna per preservare la sua libertà di artista. L’idea di una mostra, però, mobilitò una città, in nome del più nobile volontariato: roba del passato?
“La sua intelligenza della forma lo ha guidato, attraverso maestri ideali di cui intuì la carica morale quale stimolo di comunicazione poetica, a cogliere momenti di sottile beatitudine fisica nella figura umana: così la vigoria plastica di Maillol si illuminò, in alcune sue figure, della vibrazione di Medardo Rosso. Ma quando nella concretezza del volume giunse a sfiorare la forma geometrica pura evitò di proposito ogni contaminazione con analoghe ricerche cosmopolitiche degli anni trenta...”. Queste parole, che riassumono il percorso artistico dello scultore Giovanni Genucchi (1904-1979), sono parte del testo che Virgilio Gilardoni scrisse per la mostra di cinquant’anni fa a Bellinzona, stampato su un opuscolo dove con una nota biografica e sei foto di Arno Carpi di opere esposte, c’erano le indicazioni necessarie di luogo e tempo: Aula Magna Scuole Nord, dal 24 novembre al 16 dicembre 1967 e poi Organizzazione Giovani Liberali-Radicali Bellinzona. Un gruppo politico in libera uscita, che organizza una mostra d’arte suscitò qualche perplessità. Ma era una storia semplice. I Giovani Liberali avevano tanti soldi in cassa, guadagnati con i loro veglioni di San Silvestro, allora frequentatissimi, pensarono di spenderne un po’ per offrire qualcosa di bello alla città, che non aveva ancora Villa dei Cedri e nemmeno Gallerie d’arte private come Lugano e Locarno. Fui incaricato dell’organizzazione assieme agli amici Remo Pancera e Giuseppe Felicioni, con i quali restai testimonio attendibile di un evento indimenticabile.
Alla ricerca della libertà
“Un grosso avvenimento, mi pare, sul piano culturale, la mostra dello scultore Giovanni Genucchi, allestita con arioso buon gusto nell’aula magna delle Scuole Nord... Nelle pietre di Genucchi, nei suoi legni, nelle crete patinate, c’è un sangue che pulsa, verace, continuo, un calore
che sottilmente aleggia su ogni pur minima particella di superficie, mai lasciata all’arbitrio del caso, bensì lavorata con estrema consapevolezza, con scrupolo, direi, che travalica la materia stessa e si accanisce in una sfera d’ambito spirituale.” scrisse sul Giornale del Popolo Angelo Casè. Furono esposte trenta opere, dieci delle quali di proprietà privata. L’arte di Genucchi non era popolare, ma ben conosciuta dagli intenditori. Due poeti nostri, Pericle Patocchi e Giorgio Orelli, furono tra i sostenitori più convinti, ed è probabilmente grazie a loro che persone illustri come Montale e Quasimodo visitarono l’atelier che Genucchi aprì nel 1937 a Bellinzona e purtroppo chiuse nel 1949, quando si ritirò in Valle di Blenio, nella sua casa di Castro, per poter sopravvivere economicamente con la sua famiglia. Ancora Gilardoni: “Sono le radici morali di Genucchi che gli hanno consentito di superare l’angoscia dell’isolamento, quando lasciò lo studio bellinzonese per ritirarsi nella fattoria alpestre e riprendere il lavoro del valligiano e persino dell’alpeggiatore, per poter ritrovare un’umanità più vera e genuina, fra contadini e montanari. Si è così sottratto all’umiliazione di ridursi al rango di artigiano di cimiteri o di piccole ambizioni di provincia e si è pagato, col duro lavoro del valligiano, il lusso di essere scultore libero e indipendente nel rovello interiore di un’ascesa alla forma che fu, per lui, anzitutto paziente, quotidiana presa di coscienza dei valori essenziali della vita.”
Tutta la città per l’artista
Con baldanza giovanile, consci del fatto che non chiedevamo percentuali, che tutto il ricavo sarebbe stato per l’artista, moltiplicammo mediamente per cinque i prezzi abituali delle opere esposte. Nell’estate 1967 la “Biennale di bianco e nero” a Lugano aveva avuto buon successo, aveva venduto opere per dodicimila franchi. A Bellinzona Genucchi ne vendette per sessantamila franchi. Non ricordo se fummo accusati di concorrenza sleale dai galleristi professionisti, ricordo che ai Giovani Liberali la mostra costò l’assicurazione delle opere esposte e poco più. Il Municipio mise a disposizione gratis gli spazi espositivi. La sezione dei falegnami della Scuola d’Arti e Mestieri costruì gratis i piedestalli per le sculture, un buon esercizio per gli apprendisti. Forse oggi in queste offerte si troverebbe qualche mancanza istituzionale. La Tipografia Salvioni offrì la stampa dell’opuscolo, Arno Carpi le fotografie. Nino Galli e Alfredo Carmine, boss della ristorazione a Bellinzona, offrirono un sontuoso rinfresco per il vernissage. I fioristi Cavalletti le piante verdi decorative per tutto il periodo della mostra. Conservo la lista delle persone che si misero a disposizione gratuitamente come sorveglianti per le oltre cento ore di apertura della mostra. Poiché oggi la sponsorizzazione è una forma di marketing, il volontariato è quasi esclusivamente a pagamento, il racconto di queste liberalità mi sembra parli di un “mondo di ieri”, non necessariamente migliore, ma ancora in parte da capire. Nel 1994 è uscito il bel libro di Claudio Guarda, importante per conoscere la vita e le opere del nostro scultore. Poi è nata la “Fondazione atelier Genucchi”: l’estate scorsa, per l’inaugurazione dell’atelier restaurato migliaia di persone sono arrivate a Castro. Altre iniziative sono annunciate. Il tempo, che si vuole galantuomo, sta portando la figura dello scultore Giovanni Genucchi al vertice degli artisti ticinesi del Novecento.