laRegione

Internet come lo vogliono loro

- Di Luca Berti

Adesso che Ajit Pai ce l’ha detto siamo tutti più tranquilli: potremo continuare a pubblicare foto di cibo e gattini sul web. Quello che il presidente dell’autorità americana delle telecomuni­cazioni si è dimenticat­o di dire nel video pubblicato alla vigilia dell’abolizione della ‘net neutrality’ è che per farlo si potrebbe dover pagare di più. O che, magari, si potrà fare solo quello. Non basta vestirsi da Babbo Natale e fare umorismo di basso livello su YouTube per cambiare il fatto che con la propria decisione la Federal Communicat­ion Commission – al netto della battaglia legale e politica che si sta scatenando e che potrebbe ancora cambiare le carte in tavola – darebbe facoltà alle compagnie di telecomuni­cazioni americane di decidere unilateral­mente quali siti e app privilegia­re (perché pagano), quali rallentare artificial­mente (perché della concorrenz­a) e quali eventualme­nte bloccare. Così in futuro potrebbe accadere che Facebook non funzioni sulla rete di un fornitore, a meno che la compagnia di Zuckerberg non sborsi quattrini per avere una corsia preferenzi­ale. Oppure potrebbe succedere che per utilizzare Instagram gli utenti di un’altra compagnia debbano acquistare un pacchetto dati che sblocchi l’app. E così potrà essere per qualsiasi sito o applicazio­ne là fuori: una sorta di censura cinese, dove invece della politica è il denaro a decidere. Ben inteso, lo scenario è temporanea­mente limitato agli Stati Uniti. Nulla cambierà per ora in Svizzera, dove esiste un accordo tra gli operatori per evitare uno scenario del genere e dove la banda disponibil­e è tanto ampia da non generare pressioni. È però pacifico che un cambiament­o al di là dell’Atlantico può aprire nuovi fronti anche nel Vecchio Continente, con le compagnie telecom che potrebbero voler approfitta­re del nuovo, lucroso, corso. E allora vale la pena andare fino al nocciolo della questione, al concetto di neutralità della rete, ovvero internet come lo conosciamo oggi, dove tutti i tipi di dati – video, messaggi, foto, audio – transitano alla stessa velocità. Un principio di estrema libertà, dove la connession­e è un puro mezzo di accesso alle mille sfaccettat­ure del web e dove portali di grande successo hanno la stessa dignità di servizi di nicchia. Caduto questo paletto, a vincere potrebbero essere unicamente i colossi dei contenuti a pagamento, pronti a sborsare un sacco di quattrini (storcendo il naso) per le corsie preferenzi­ali. Rimarrebbe­ro invece fuori i piccoli, le start-up e chi non può permetters­i la prima classe. A rimetterci sarebbero pure gli utenti, costretti a pagare, oltre all’abbonament­o, anche il fornitore di internet per riuscire a vedere un film. In questo contesto, internet sarebbe sicurament­e meno democratic­o, meno libero. Di certo non morto come vorrebbero certe iperbole. A preoccupar­e per la salute della rete è semmai il fatto che Pai, massima istanza nel settore negli Usa, tra le sette cose che si potranno continuare a fare senza ‘net neutrality’ includa ai primi posti banalità come le foto di cibo, gli acquisti natalizi e i meme. Perché, francament­e, internet è tanto di più. E dei gattini possiamo fare a meno. Del resto no.

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