In Ticino c’è poca libertà
Scende al 23esimo posto nella classifica di Avenir Suisse che analizza indici economici e civili Fra i criteri presi in considerazione pesano la restrittiva regolamentazione del mercato del lavoro regionale e il divieto del burqa
In Ticino c’è meno libertà che nel resto della Svizzera. Il cantone più a sud delle Alpi, infatti, si qualifica al 23esimo posto nella classifica di Avenir Suisse, il “tink tank” indipendente finanziato dalle maggiori imprese della Confederazione che ogni anno, appunto, analizza l’indice delle libertà economiche (se ne considerano ben 17) e civili (12) di ogni cantone. L’ultima lista, appena pubblicata, vede all’apice – come da nove anni a questa parte – il Canton Argovia, mentre fanalino di coda è il Canton Ginevra. Il Ticino, come detto, è quartultimo; si classificano peggio oltre alla già citata Ginevra, solo Berna (24) e Uri (25). Ma serve una premessa. Prima di elencare i pregi e i difetti del Canton Ticino è bene precisare – come riporta la stessa Avenir Suisse – che “la libertà resta un concetto soggettivo” e ogni individuo “può valutare in modo differente se una legge, per esempio, è percepita o meno come un ostacolo inutile che interferisce con le proprie opzioni d’azione”. Molto dipende anche dalla visione soggettiva sulle cose del mondo. Ci si può infatti sentire liberi di... fare tutta una serie di cose senza lacci e lacciuoli, o invece liberi da... dalla fame, dalla paura, dall’ignoranza, dalla schiavitù di una vita ingrata e via discorrendo. Mutando il “di” in “da”, si rovescia il mondo. Si cambia, per dire, la visione dello Stato (che aiuta a liberarsi dalle miserie della vita o, al contrario, che impedisce di realizzare i miei desideri). Fatta la premessa, veniamo all’analisi ticinese di Avenir Suisse che dipinge il Ticino come ‘Un bambino difficile’ con un valore indice pari a 42 (la media è 50). Ben diciassette, si diceva, gli indicatori economici presi in considerazione: fra questi citiamo il potenziale fiscale, il carico fiscale di una famiglia media, gli impiegati nel settore pubblico, i monopoli cantonali e anche gli orari di apertura dei negozi. Fra gli indicatori civili, invece, citiamo la libera scelta della scuola, la videosorveglianza, la protezione dal fumo passivo, la sicurezza pubblica, i diritti politici agli stranieri e i termini di residenza per le naturalizzazioni. Orbene, negli anni passati – precisano i ricercatori – il Ticino si era ripetutamente piazzato a metà classifica, ma con l’introduzione di nuovi indicatori l’anno scorso è sceso al 17esimo posto e quest’anno è scivolato al 23esimo. Il motivo? “Principalmente riconducibile alla restrittiva regolamentazione del mercato regionale del lavoro, che non trova pari sul panorama nazionale”. Il riferimento è a leggi e norme recentemente adottate tendenti a irrigidire l’accesso alla manodopera estera.
Giocano a sfavore anche la solvibilità del cantone e la salute delle finanze cantonali (che nel frattempo però sono migliorate). Il quadro è ulteriormente appesantito dal “divieto di dissimulazione del volto appena introdotto, la mancanza di diritti politici per gli stranieri e l’inefficienza delle misure di
pubblica sicurezza”. Nel settore dell’istruzione si ravvisa un potenziale di miglioramento. Fra le note positive, che pur ci sono, Avenir Suisse segnala l’onere fiscale di una famiglia media (migliorato e dunque un bene secondo i ricercatori), così come buoni valori si riscontrano ai capitoli videosorveglianza, tempo di attesa per l’ottenimento di una licenza edilizia e legge sulla vendita di bevande alcoliche. Una classifica senz’altro interessante perché racconta un quadro generale; sulla lettura del medesimo, però, i pareri divergono con posizioni che possono mutare a seconda di chi lo interpreta.