Un’eredità dispersa
L’African National Congress sceglierà in questi giorni il successore di Jacob Zuma alla propria guida, destinato a diventare anche prossimo capo dello Stato. La crisi sociale del Sudafrica chiama tuttavia in causa la drammatica deriva del partito che fu d
Città del Capo – “Il fallimento della maggior parte dei movimenti di liberazione africani che hanno raggiunto il potere, sta nella corruzione morale dei loro leader e dei partiti stessi che sono arrivati al governo”. Così scriveva William Gumede, professore dell’università di Witwatersrand a Johannesburg, il 5 dicembre 2013, giorno della morte di Nelson Mandela. In Sudafrica la liberazione è stata opera dell’African National Congress (Anc). Dopo decenni di lotte contro il governo dell’apartheid, il movimento di Mandela portò il paese alle prime elezioni democratiche nel 1994. Dopo oltre cinquant’anni di leggi razziali, l’allora presidente dell’Anc Nelson Mandela arrivò al potere democraticamente. “Sembra sempre impossibile finché qualcuno lo fa”, disse, scongiurando una guerra civile. Durante la sua presidenza, dal 1994 al 1999, regnò una grande voglia collettiva di ricostruire un paese unito, con una fiducia assoluta in chi lo stava realizzando. Da allora l’Anc e il paese sono molto cambiati. Abbiamo incontrato Raymond Steenkamp Fonseca, preside della facoltà di Scienze militari dell’Università di Stellenbosch, per capire lo stato attuale del Sudafrica, alla vigilia della conferenza nazionale dell’Anc che si apre oggi. In questa sede si sceglierà la nuova leadership, un momento cruciale nella vita politica del paese. Per la poltrona di presidente del partito (ricordiamo che il presidente dell’Anc condurrà anche il paese, se il partito vincerà le elezioni nazionali del 2019), si scontrano due fazioni. Una è capeggiata dall’ex moglie del presidente, Nkosazana Dlamini-Zuma che manterrebbe la cerchia di Zuma al potere. L’altra è guidata dal vicepresidente Cyril Ramaphosa (ex sindacalista e oggi ricchissimo membro di consigli di amministrazione di società minerarie) che promette progresso e rinnovamento morale, economico e politico.
Professore, oltre la metà dei 56 milioni di sudafricani è povera, non ha lavoro né prospettive e la criminalità la terrorizza. È andata dispersa l’eredità di Mandela?
Nel paesaggio politico sudafricano il gigante resta l’Anc. Alle ultime elezioni del 2014 si è aggiudicato il 62% del voto nazionale. Per molti in Sudafrica non c’è alternativa al partito di Mandela. L’Anc è intimamente radicato nella coscienza pubblica quale “casa per tutti”. Il risultato di questo lungo dominio assoluto è stato lo slittamento dalla lotta per le elezioni nazionali a una violenta battaglia interna per il controllo del partito. Abbiamo già assistito a questo scenario nel 2007, quando nella conferenza nazionale dell’Anc Jacob Zuma prevalse sull’allora presidente nazionale Thabo Mbeki. Oggi tuttavia il quadro politico è molto più frammentato e il contesto molto più violento.
La figura stessa di Zuma viene severamente messa in discussione. Il bilancio della sua presidenza non brilla...
In agosto il presidente Zuma è sopravvissuto a una mozione di sfiducia in parlamento. Le accuse di corruzione che pendevano su di lui non hanno scalfito la fedeltà di 198 parlamentari. I 177 voti a favore della mozione non sono quindi bastati. Zuma ha sempre affermato che le accuse di corruzione sono una caccia alle streghe politica. La verità è che dal 2007 il presidente ha indebolito l’indipendenza di tutte le istituzioni penali e rafforzato il suo controllo sui servizi segreti. Oggi, la portata delle sue presunte attività corrotte sta venendo a galla. La conferenza dell’Anc ruota attorno al suo futuro: gli sarà garantita l’immunità, o le imputazioni penali che illegalmente furono fatte cadere saranno riesumate. Zuma ha piazzato le sue pedine alla testa di imprese statali quali South African Airways ed Escom, l’ente nazionale per l’energia, entrambe malridotte da pessime gestioni finanziarie e oggetto di importanti indagini per corruzione.
Secondo diversi analisti, nel Paese vige il caos economico e politico. È così?
Secondo il ministero delle finanze, l’economia sudafricana è cresciuta in media l’1% dal 1990 e segue una traiettoria discendente. Nella prima metà del 2017 è entrata in una fase di recessione. Questo declino ha un impatto anche sul mercato del lavoro. La disoccupazione si aggira tra il 25% e il 30%. Quasi la metà dei sudafricani ha meno di 25 anni e non ha prospettive. Per i “Born frees”, la generazione post-apartheid nata dopo il 1994, sta diventando evidente che le aspettative del Sudafrica democratico di Mandela saranno disattese. L’attivismo giovanile si sta inasprendo e le violenze nei vari campus universitari sono sempre più frequenti. Di recente, le agenzie internazionali di rating e il Fondo monetario internazionale hanno valutato negativamente le prospettive economiche del Sudafrica. Questo ha a che vedere con la dimensione dell’amministrazione pubblica (oltre il 40% del budget è destinato ai salari dell’amministrazione governativa) e con i livelli crescenti del debito pubblico. Il governo spende più per onorare questo debito che per alloggi, polizia o educazione universitaria.
Un tema ricorrente nel confronto pubblico è lo “State capture”. Di che cosa si tratta?
Lo si può definire come una combinazione di vari elementi: un impiego corrotto delle istituzioni statali, una lealtà verso il presidente, un indebolimento delle istituzioni di sorveglianza, un partenariato economico esclusivo tra le imprese statali e gli imprenditori politicamente connessi. Il presidente e la sua cricca si sono accaparrati, arricchendosi immensamente, un numero sempre crescente di leve del potere, con il risultato di un’erosione e un indebolimento dello stato di diritto, delle pratiche democratiche e delle istituzioni statali.
Amilcar Cabral, uno dei più importanti pensatori della liberazione africana, affermò che il successo dell’Africa dipende più di ogni cosa dal comportamento morale, dalla decenza e dall’onestà dei suoi leader e membri. Zuma e la leadership dell’Anc ne sono stati all’altezza?
L’Anc, come ogni altro movimento di liberazione dell’Africa meridionale, ha storicamente una cultura politica che premia l’unità e non la pluralità; è intollerante verso il dissenso e l’opposizione dei cittadini. La conseguenza è che il movimento di liberazione può diventare un peso per la politica democratica. Inoltre, i legami tra i vari movimenti di liberazione restano molto forti. Per esempio, l’Anc considera in modo positivo i decenni di malgoverno Mugabe in Zimbabwe. La stessa “Quite Diplomacy” di Thabo Mbeki del 2000 conferma la mancanza di un impegno critico. L’osservazione di Cabral sul comportamento morale personale dei leader africani è corretta. Però, non fare male non basta. Fare la cosa giusta per il proprio popolo richiede sia una visione sia una continua trasformazione, ed entrambe devono essere aperte a una critica popolare e all’auto-correzione.
Sarebbero dunque l’assenza di moralità, onestà e decenza nell’attuale leadership dell’Anc a spiegare la caduta del sogno di Mandela?
Gli ultimi bagliori del miracolo di Mandela stanno rapidamente scomparendo, anche secondo i più ottimisti. Povertà e disuguaglianza restano i problemi più urgenti del paese. Nel 2015, secondo le statistiche delle agenzie governative, il 55,5 % della popolazione, ossia 30,4 milioni di persone vivevano in povertà. Nel 2011 erano 27,3 milioni. Nel 2011 le persone che vivevano in estrema povertà erano 11 milioni; nel 2015, 13,8 milioni. Questa è la misura del tradimento della visione di Mandela. La situazione richiede una valutazione realista dell’enormità di un problema che definisco come un’evitabile crisi umanitaria. In questo scenario, la portata del danno causato dal governo Zuma è imperdonabile.
Oggi si apre la Conferenza nazionale dell’Anc. C’è speranza che gli ideali di Mandela siano salvaguardati?
La conferenza nazionale dell’Anc probabilmente non partorirà un candidato “completamente pulito” e il nuovo leader dovrà ricostruire l’immagine compromessa del partito. Cyril Ramaphosa potrebbe riuscirci, ma è improbabile che l’Anc rinneghi completamente Zuma. Secondo una visione ottimista, la situazione attuale porterà alla nascita di nuovi partiti politici, e a una rigenerazione dell’Anc dall’interno. In generale, questo sarebbe positivo per la democrazia rappresentativa. Nella visione meno ottimista, la politica del partito diventerà una riserva di discussioni per le élite e il legame con l’elettorato si farà ancora più sottile. Gli elettori, insoddisfatti dall’Anc e senza offerte di alternative, si allontaneranno dalle decisioni che riguardano il loro futuro. Questo condurrebbe all’apatia e a un’inversione del processo democratico. L’ordine costituzionale allestito due decenni fa può ancora funzionare se istituzioni come procure e tribunali sono in grado di operare senza paure o favoritismi. La cartina tornasole della democrazia sudafricana sarà il risultato del percorso delle accuse di corruzione rivolte all’amministrazione di Jacob Zuma.