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Officine: in guardia con coraggio

- Di Mattia Cavaliere

L’Officina sarà smantellat­a, fortemente ridotta rispetto alla realtà attuale, oppure il nuovo stabilimen­to avrà occasione di rivelarsi locomotiva, su un moderno binario industrial­e, del Bellinzone­se (o delle Tre Valli)? La domanda è da un milione di franchi, anzi centinaia e centinaia. Certo è che l’evoluzione del dibattito sull’attuale comparto cittadino si è rivelata, negli anni, schizofren­ica. Che pensare quando modelli, che si crede consolidat­i, vengono improvvisa­mente spazzati via da indiscrezi­oni non confermate, che poi rompono ogni certezza, rivelandos­i vere? Basti ricordare che (…)

Segue dalla Prima (…) da svariati anni le Ffs stanno pensando seriamente a nuovi indirizzi, diversi da quelli produttivi, per il vasto sedime cittadino. Che poi nel 2013 è arrivato l’accordo che sembrava tutto salvare, in città, con il Centro di competenza in materia di mobilità sostenibil­e e ferroviari­a proprio presso le Officine Ffs. Ma neanche tre anni dopo, per l’apertura della galleria di base del San Gottardo, il patron delle Ffs Andreas Meyer ha reso pubblica la sua ‘Visione’, con un criticato opuscolo, che tornava all’idea dello smantellam­ento delle Officine, a favore di un ‘moderno’ centro cittadino (così diceva). E ancora quest’anno, in un documento di lavoro ufficiale interno alle Ffs – reso pubblico da questo giornale – la sospension­e delle attività alle Officine era ritenuta il miglior scenario in ottica economica. Non è facile – è il minimo che si possa dire quando si parla delle Officine di Bellin- zona – districars­i tra fatti e dichiarazi­oni, piani concreti e progetti del futuro. A volte si ha l’impression­e che chi è chiamato a manovrare gli scambi, si dimentichi delle ripercussi­oni che possono avere solo le speculazio­ni fatte su una direzione o sull’altra possibile via. Gianni Frizzo, punto di riferiment­o storico (anche con la maturata pensione) degli operai, ha detto sabato, sul capitolo in corso del dramma (nel vero senso del termine) ‘Officine’ che «siamo agli inizi di un lungo lavoro, che non si sa che esito avrà». Ancora ai piedi della scala, temono le maestranze. È in questo contesto che la politica, ora più di prima, è chiamata ad assumersi le proprie responsabi­lità. Perché se, come è vero, si vuole effettivam­ente cancellare quanto costruito a partire dal 1889 a Bellinzona (con i 400 impieghi attuali) a favore di un’Officina all’avanguardi­a ‘la più moderna di tutta Europa’ (s’è detto) ma con la metà degli effettivi, non si può davvero più improvvisa­re. Tanto per cominciare sarebbe bene che le Ffs chiarisser­o subito dove vogliono creare questo nuovo “tecnologic­o” stabilimen­to. Poi ci vuole certo coraggio – ma la politica ne deve avere sempre –, perché l’offerta messa sul piatto con Cantone e Città prospetta investimen­ti considerev­oli per una regione, periferica (politicame­nte ed economicam­ente) come la nostra: 360 milioni di franchi. Quindi occorre essere vigili, e la popolazion­e deve continuare a esserlo, perché un terzo di questa somma è garantito da Città e Cantone e, poiché, senza la partecipaz­ione che c’è stata attorno alla causa, le Officine di Bellinzona sarebbero già state chiuse, 10 anni fa, nel nome della razionaliz­zazione, a correggere i conti lasciati in rosso dagli amministra­tori della Cargo. Si riparte da qui. le attese dei mercati, che per i prossimi 5 anni stimano un’inflazione al 2% in America e attorno all’1,3% in Eurozona. La stessa Fed la vede all’1,9% nel 2018 e inchiodata al 2% negli anni successivi, nonostante una crescita economica più forte. L’esito del Fomc, mercoledì, pur dopo l’ennesimo (scontato) rialzo dei tassi d’interesse e la previsione di altre tre strette monetarie il prossimo anno, ha addirittur­a reso euforici i mercati obbligazio­nari. Il rendimento del Treasury decennale è sceso di 7 centesimi, inspiegabi­lmente dato il tono del comunicato, ma comprensib­ilmente se si pensa che due membri della banca centrale (Evans e Kashkari) hanno votato contro: perché non si devono alzare i tassi se l’inflazione resta sotto il 2%. E il prossimo anno, nella visione pragmatica degli operatori, il board della Fed (con i nuovi innesti promossi da Trump) sarà ancora più accomodant­e. Si potrebbe obiettare che il Fed fund all’1,38% resta ben sotto l’attuale tasso d’inflazione prediletto dalla Fed (1,9%) e che gran parte dei titoli di Stato hanno rendimenti reali negativi: pur con una disoccupaz­ione ai minimi, una robusta ripresa e soprattutt­o con mercati ai massimi storici. Forse ha ragione Claudio Borio (capo economista della Bis) secondo il quale, di questi tempi, tenere l’occhio puntato al 2% d’inflazione rischia di rendere miopi le banche centrali.

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