Officine: in guardia con coraggio
L’Officina sarà smantellata, fortemente ridotta rispetto alla realtà attuale, oppure il nuovo stabilimento avrà occasione di rivelarsi locomotiva, su un moderno binario industriale, del Bellinzonese (o delle Tre Valli)? La domanda è da un milione di franchi, anzi centinaia e centinaia. Certo è che l’evoluzione del dibattito sull’attuale comparto cittadino si è rivelata, negli anni, schizofrenica. Che pensare quando modelli, che si crede consolidati, vengono improvvisamente spazzati via da indiscrezioni non confermate, che poi rompono ogni certezza, rivelandosi vere? Basti ricordare che (…)
Segue dalla Prima (…) da svariati anni le Ffs stanno pensando seriamente a nuovi indirizzi, diversi da quelli produttivi, per il vasto sedime cittadino. Che poi nel 2013 è arrivato l’accordo che sembrava tutto salvare, in città, con il Centro di competenza in materia di mobilità sostenibile e ferroviaria proprio presso le Officine Ffs. Ma neanche tre anni dopo, per l’apertura della galleria di base del San Gottardo, il patron delle Ffs Andreas Meyer ha reso pubblica la sua ‘Visione’, con un criticato opuscolo, che tornava all’idea dello smantellamento delle Officine, a favore di un ‘moderno’ centro cittadino (così diceva). E ancora quest’anno, in un documento di lavoro ufficiale interno alle Ffs – reso pubblico da questo giornale – la sospensione delle attività alle Officine era ritenuta il miglior scenario in ottica economica. Non è facile – è il minimo che si possa dire quando si parla delle Officine di Bellin- zona – districarsi tra fatti e dichiarazioni, piani concreti e progetti del futuro. A volte si ha l’impressione che chi è chiamato a manovrare gli scambi, si dimentichi delle ripercussioni che possono avere solo le speculazioni fatte su una direzione o sull’altra possibile via. Gianni Frizzo, punto di riferimento storico (anche con la maturata pensione) degli operai, ha detto sabato, sul capitolo in corso del dramma (nel vero senso del termine) ‘Officine’ che «siamo agli inizi di un lungo lavoro, che non si sa che esito avrà». Ancora ai piedi della scala, temono le maestranze. È in questo contesto che la politica, ora più di prima, è chiamata ad assumersi le proprie responsabilità. Perché se, come è vero, si vuole effettivamente cancellare quanto costruito a partire dal 1889 a Bellinzona (con i 400 impieghi attuali) a favore di un’Officina all’avanguardia ‘la più moderna di tutta Europa’ (s’è detto) ma con la metà degli effettivi, non si può davvero più improvvisare. Tanto per cominciare sarebbe bene che le Ffs chiarissero subito dove vogliono creare questo nuovo “tecnologico” stabilimento. Poi ci vuole certo coraggio – ma la politica ne deve avere sempre –, perché l’offerta messa sul piatto con Cantone e Città prospetta investimenti considerevoli per una regione, periferica (politicamente ed economicamente) come la nostra: 360 milioni di franchi. Quindi occorre essere vigili, e la popolazione deve continuare a esserlo, perché un terzo di questa somma è garantito da Città e Cantone e, poiché, senza la partecipazione che c’è stata attorno alla causa, le Officine di Bellinzona sarebbero già state chiuse, 10 anni fa, nel nome della razionalizzazione, a correggere i conti lasciati in rosso dagli amministratori della Cargo. Si riparte da qui. le attese dei mercati, che per i prossimi 5 anni stimano un’inflazione al 2% in America e attorno all’1,3% in Eurozona. La stessa Fed la vede all’1,9% nel 2018 e inchiodata al 2% negli anni successivi, nonostante una crescita economica più forte. L’esito del Fomc, mercoledì, pur dopo l’ennesimo (scontato) rialzo dei tassi d’interesse e la previsione di altre tre strette monetarie il prossimo anno, ha addirittura reso euforici i mercati obbligazionari. Il rendimento del Treasury decennale è sceso di 7 centesimi, inspiegabilmente dato il tono del comunicato, ma comprensibilmente se si pensa che due membri della banca centrale (Evans e Kashkari) hanno votato contro: perché non si devono alzare i tassi se l’inflazione resta sotto il 2%. E il prossimo anno, nella visione pragmatica degli operatori, il board della Fed (con i nuovi innesti promossi da Trump) sarà ancora più accomodante. Si potrebbe obiettare che il Fed fund all’1,38% resta ben sotto l’attuale tasso d’inflazione prediletto dalla Fed (1,9%) e che gran parte dei titoli di Stato hanno rendimenti reali negativi: pur con una disoccupazione ai minimi, una robusta ripresa e soprattutto con mercati ai massimi storici. Forse ha ragione Claudio Borio (capo economista della Bis) secondo il quale, di questi tempi, tenere l’occhio puntato al 2% d’inflazione rischia di rendere miopi le banche centrali.