Disney, la sfida di Iger
È la quinta volta che Bob Iger rimanda la data del suo pensionamento. La prossima scadenza sarebbe non più il 2019, ma la fine del 2021, quando avrà 70 anni suonati.
A chiedergli a gran voce di restare ancora a capo della Walt Disney Company – che lui guida già da 12 anni – sono i suoi azionisti. Fra i quali ora c’è Rupert Murdoch con la sua famiglia, che la settimana scorsa ha accettato di vendergli per 60 miliardi di dollari il grosso delle attività di 21st Century Fox, fra cui gli studios televisivi e cinematografici, le tv via cavo FX e National geographic, una serie di canali regionali sportivi americani, il 39% della pay tv europea Sky e la tv Star India. L’operazione infatti comporta uno scambio di azioni per cui alla fine, secondo le stime dell’agenzia finanziaria Bloomberg, i Murdoch diventeranno proprietari del 5% di Disney.
Azioni salite con Iger del 350%
E si capisce l’entusiasmo dei soci per Iger: da quando, nell’ottobre 2005, lui è diventato Ceo (amministratore delegato), le quotazioni a Wall Street del “regno magico” di Topolino sono cresciute del 350%, quasi il triplo della media della Borsa (indice S&P500) e della stessa Fox. La speranza degli investitori è che con Iger la Disney, arricchita dei contenuti di Fox, continui ad essere la società più profittevole al mondo nel business dei media e dell’intrattenimento, riuscendo a risolvere i problemi “epocali” che ha di fronte: la crescente concorrenza non più dai rivali tradizionali – come Comcast, il gruppo che comprende la rete tv Nbc e gli studios Universal e DreamWorks –, ma dai giganti hightech come Netflix e Amazon, che producono anche contenuti originali e li distribuiscono in streaming e come Google (YouTube) e Facebook, che incassano la grande maggioranza degli introiti pubblicitari digitali.
I giovani: abbonamento no, sì allo streaming
Da tempo Iger ha ben presente il problema. A soffrirne di più infatti sono le reti tv di Disney – Abc ed Esp – che storicamente hanno generato la maggioranza del fatturato e dei profitti del gruppo, ma stanno perdendo quota: nel 2012 avevano prodotto due terzi dei profitti operativi, ora sono scese a meno del 47%. La causa: il fenomeno del “cord cutting”, il taglio del cavo, cioè la disdetta dell’abbonamento alla tv, praticato da sempre più spettatori, soprattutto giovani, che preferiscono guardare film, telefilm e altri show offerti in streaming da Netflix & Co. «Lo scopo di questa operazione – ha spiegato Iger a proposito dell’acquisto di Fox – è creare prodotti di qualità superiore per i consumatori di tutto il mondo e distribuirli in modi molto più innovativi ed efficaci». Nei suoi programmi c’era già il lancio, l’anno prossimo, di Espn plus, un servizio in streaming di programmi sportivi e quello di un servizio in streaming di contenuti per le famiglie nel 2019, quando scade l’accordo per la loro distribuzione con Netflix. Con Fox Iger conquista anche il controllo di Hulu, un altro servizio Usa di video in streaming: secondo alcuni analisti potrebbe pensare di trasformare la stessa Sky in una “Hulu” europea. La passione per la tv e lo show business, ma anche per l’innovazione tecnologica, una lunga esperienza e una grande dedizione al lavoro: sono le qualità di Iger che possono aiutarlo a farcela. Dei suoi 66 anni, ben 43 li ha spesi in questo mondo. Da ragazzo sognava di diventare un giornalista tv. Per questo aveva scelto di studiare all’Ithaca College – non lontano dalla sua città natale, New York –, la cui Scuola di comunicazione è considerata al top per chi è interessato ai media e all’entertainment. Da studente aveva debuttato sul piccolo schermo come conduttore di “Campus probe”, uno show televisivo della sua università. Laureato nel 1973, l’anno dopo è entrato nella rete tv Abc dove ha cominciato invece la sua carriera manageriale fino a diventare responsabile operativo della società che controllava
la tv e che sarebbe stata comprata da Disney nel ’96. La sua scalata ai vertici è continuata fino a diventare nel 2000 responsabile operativo di tutta Disney, il numero due sotto il Ceo e presidente Michael Eisner. E l’ultimo salto, la nomina ad amministratore delegato, l’ha fatto con l’appoggio di Roy Disney, il nipote del fondatore Walt Disney, che aveva guidato una campagna contro Eisner criticando fra l’altro la sua cattiva gestione dei rapporti con lo studio di animazione Pixar e con il suo padrone Steve Jobs.
Ricucire i rapporti con Jobs e puntare all’innovazione tecnologica
Una delle prime mosse di Iger come Ceo era stata proprio ricucire i rapporti con Jobs: aveva capito che Pixar sarebbe stata una componente chiave della rivitalizzazione dei cartoni animati di Disney e Apple un partner importante per affermarsi nel nuovo mondo digitale. Così nell’ottobre 2005 Disney fu la prima società a mettere le sue produzioni tv su iTunes, fruibili sull’iPod e poi è stata fra le prime a sviluppare applicazioni per l’iPhone e l’iPad. L’innovazione tecnologica è stata da subito
uno dei tre punti del programma di Iger, insieme al rilancio dei contenuti creativi e all’espansione internazionale del gruppo. E infatti Disney è la società dove contenuti e high-tech si sposano meglio, secondo il parere di protagonisti della Silicon Valley come Sheryl Sandberg, la chief operating officer di Facebook e Jack Dorsey, cofondatore di Twitter, entrambi membri del suo Consiglio di amministrazione. Lo stesso Iger a sua volta è consigliere di Apple e si occupa in prima persona della parte tecnologica di Disney. Per arricchire i contenuti, prima di Fox Iger ha speso oltre 15 miliardi di dollari per comprare la stessa Pixar (2006), Marvel (2009) e Lucasfilm (2012), conquistando serie di film – come “Guerre stellari” – che garantiscono non solo ricchi incassi al botteghino ma generano anche attrazioni nei parchi Disneyland e vendite del merchandising. Per l’espansione globale è stato importante acquisire Sky in Europa, Star in India e i canali internazionali di Fox attivi dall’America Latina all’Africa. Topolino parla quindi sempre meno americano e sempre più le lingue di tutto il mondo. La sfida di Iger è mantenerlo anche ultraredditizio.