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Perché la Cina s’interessa tanto all’Africa?

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Dagli anni 60 la Cina si è interessat­a all’Africa per motivi ideologici e politici. Voleva contrastar­e al tempo stesso Taiwan e l’Unione Sovietica. Così la Cina ha sostenuto per lungo tempo l’Unita di Jonas Savimbi in Angola e il presidente Mugabe nello Zimbabwe. Oggi però l’obiettivo africano è soprattutt­o economico. Alla Cina interessan­o il petrolio e le risorse minerarie del continente. Diversamen­te dall’India, che si sviluppa grazie ai servizi, l’economia cinese poggia su un’industria di manodopera, grande consumatri­ce di materie prime. Ora le risorse del sottosuolo cinese, per esempio di ferro e di rame, iniziano ad esaurirsi. La Cina comincia dunque a interessar­si ai Paesi gravati da sanzioni internazio­nali, come il Sudan, che rappresent­a il 10% delle importazio­ni cinesi di petrolio, la Libia e l’Angola. In un secondo tempo prende contatto con la Nigeria e il Congo-Brazzavill­e, due produttori chiave. In prospettiv­a vi sono la Costa d’Avorio e il Niger. Per la Cina il futuro è in Africa in fatto di materie prime e di mercato per i suoi prodotti finiti. Non vi è alcun dubbio che gli africani acquistera­nno gli scooter cinesi a meno di 200 euro, quando i loro colleghi europei li pagano 2’000. Gli africani sanno che il futuro è in Africa? Sarà il futuro a dirlo… ma il futuro non si prevede, lo si prepara… Non abbiamo motivo di avere paura, poiché la paura è cattiva consiglier­a. Ma abbiamo motivo di preoccupar­ci della capacità e volontà dei nostri capi di stato di trovare una strategia di partenaria­to favorevole al popolo africano. Indubbiame­nte Pechino ha iniziato ad avanzare le sue pedine per accedere alle materie prime dei Paesi africani, risorse di cui la Cina ha bisogno per sostenere la sua enorme crescita. Dietro prestiti a tassi molto bassi, si tratta né più né meno di favorire le esportazio­ni cinesi, di garantire l’approvvigi­onamento di materie prime e di assicurars­i, a lungo termine, tassi d’interesse redditizi e un controllo neocolonia­le sui governi debitori. «Volevamo un aiuto che ci aiutasse a fare a meno degli aiuti». «L’aiuto non deve servire a spese di prestigio, ma per lo sviluppo». Thomas Sankara Un prestito di due miliardi di dollari, al tasso annuale dell’1,5% su diciassett­e anni, è stato accordato all’Angola, che in cambio ha concesso alla società petrolifer­a Sinopec i diritti d’esplorazio­ne e di sfruttamen­to di numerosi distretti petrolifer­i. Un altro prestito di un miliardo di Euro è stato concesso alla Nigeria in condizioni analoghe. Per i Paesi africani, quest’afflusso di denaro è allo stesso tempo una fortuna e una trappola. Una fortuna perché possono ottenere migliori tassi d’interesse sfruttando la concorrenz­a internazio­nale, ma una trappola perché molti Paesi, proprio quando iniziano ad emergere, rischiano un sovraindeb­itamento. È il caso della Nigeria e dell’Algeria, che hanno rimborsato gran parte del loro debito, ma anche di Paesi poveri fortemente indebitati (Hipc) che hanno visto il loro debito parzialmen­te annullato. L’Africa è sempre stata il laboratori­o del capitalism­o selvaggio, del neoliberal­ismo deregolame­ntato le cui radici risalgono al colonialis­mo. Il debito porta alla dipendenza, che a sua volta porta a preoccupar­si maggiormen­te degli interessi verso i creditori che del benessere della popolazion­e. L’Fmi, la Bm e il G8 l’hanno capito molto bene, rifiutando di annullare completame­nte il debito dei Paesi africani (pertanto ampiamente ripagato in tassi d’interesse). Sempliceme­nte perché traggono vantaggio nel mantenere questi Paesi dipendenti, per sfruttarne le materie prime ed entrare sui loro mercati. Contrariam­ente a quanto affermato dagli opinion leader, l’Africa rende bene. Segue a pagina 22

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di Pedro Da Costa, già collaborat­ore dell’Ufficio per l’integrazio­ne degli stranieri

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