L’anno europeo delle nuove frontiere
L’anno finirà con una frontiera in più in Europa, anzi due. L’una latente e l’altra ancora ipotetica, ma non per questo meno problematiche. Quella che potrebbe ridistendersi tra Irlanda e Irlanda del Nord (l’Ulster degli unionisti britannici) è un portato della Brexit. Fuori cioè il Regno Unito dall’Ue, tornerebbero a chiudersi le sue frontiere e la sola terrestre è appunto quella che corre nel nord dell’Irlanda. Un confine non cancellato, ma depotenziato della sua carica di tragedia dagli accordi del Venerdì santo (del 1998) che misero fine alla guerra tra indipendentisti e unionisti. Quali forze potrebbe risvegliare un’eventuale nuova chiusura della frontiera lo hanno indicato i risultati delle elezioni nordirlandesi, del marzo scorso, nelle quali il Sinn Fein (a lungo l’espressione politica dell’Ira) ha praticamente pareggiato i seggi con gli unionisti. L’altra frontiera, che forse non verrà mai tracciata sul terreno, ma che ha già diviso una comunità dallo Stato a cui “appartiene” e al proprio stesso interno, è quella catalana. Le elezioni regionali di oggi, quale che sia il loro risultato, non saranno risolutive della spaccatura che si è prodotta negli ultimi mesi. Per screditate che siano le leadership dei due fronti opposti (separatisti e unionisti), lo svolgimento del referendum e la successiva revoca dell’autonomia da parte del governo di Madrid hanno imposto loro un ruolo dal quale non sembrano capaci di liberarsi. Prima ancora che con il resto della Spagna, il confine è già tracciato nelle città, nelle scuole in parlamento, persino nelle famiglie. Sembrano lontanissimo il 2011 che vide i separatisti baschi dell’Eta annunciare la fine della lotta armata contro il resto della Spagna, a favore di una negoziazione politica. Cinque anni più tardi era stato il Fronte Nazionale per la Liberazione della Corsica ad annunciare il proprio addio alle armi, dopo quarant’anni di guerra per bande allo Stato francese; una miscela sanguinosa di irredentismo e lotta tra mafie dedite al taglieggiamento e alla disputa del territorio. Di mezzo c’erano stati il referendum scozzese del 2014, dal quale l’indipendentismo di Sean “Braveheart” Connery venne sconfitto dal 55% di no; e quello catalano, prudentemente definito “consultivo”, per non finire nei guai che si sono poi prodotti nell’ottobre scorso, quando i separatisti hanno voluto attribuirgli valore legale. Tralasciando poi le consultazioni farsesche in Lombardia e Veneto, dello stesso ottobre, andrà ricordata la votazione che dieci giorni fa ha visto l’affermazione di “Pè a Corsica”, l’alleanza nazionalista corsa che chiede maggiore autonomia dalla Francia. Senza colpi di testa catalani, per ora, ma con lo stesso obiettivo.