laRegione

Se la politica perde l’anima

- Di Aldo Bertagni

La politica non naviga in buone acque e annasperà senz’altro anche nel 2018 (cinquantes­imo di quel Sessantott­o che si diceva realista perché chiedeva l’impossibil­e…). Ha ragione da vendere Manuele Bertoli, presidente del Consiglio di Stato ticinese – vedi l’intervista a pagina 3 – nel sostenere che il “prodotto” politico oggi guarda più al marketing che non ai partiti per essere “venduto” nella democrazia dei consumator­i (dove questi ultimi contano di più dei produttori e qualcosa vorrà pur dire). Ma tutto sommato il contenuto elettorale in particolar­e è sempre stato prodotto di consumo elargito a grandi mani a seconda dei mezzi a disposizio­ne: con gli slogan sui manifesti di carta attaccati ai muri ieri, sui social oggi; con i comizi in piazza ieri, nelle multiformi espression­i video oggi. Per quanto una differenza c’è eccome, fra il secolo scorso e l’attuale (che ha raggiunto la maturità col diciottesi­mo anno) ed è profonda, struttural­e, perché ha minato, distrutto, due pilastri della partecipaz­ione civile ancor prima che politica. Chiamiamol­i per nome: “sovranismo” e “sfiducia”. Il primo, che vede nella propria identità l’unica ragione di sopravvive­nza e magari progresso, è figlio della crisi ideologica e ha origini profonde non per forza simili da un Paese all’altro. Anzi. Ogni realtà locale, regionale, ha da sempre buoni motivi per sentirsi estranea a qualcuno o qualcosa. Vale soprattutt­o per coloro che hanno perso un’identità profession­ale e dunque l’orgoglio di sentirsi parte attiva di un progetto. Vale anche per chi è cresciuto bene e a lungo con le proprie tradizioni apparentem­ente immutate (poi, in realtà, non è mai così ma conta la percezione) e oggi teme il caos sociale e culturale. Ma motivo di risentimen­to è soprattutt­o il fatto di aver perso la propria “anima” o magari non averla mai avuta e solo sfiorata, dopo anni di sacrifici e speranze. Un grande popolo alla deriva che rimprovera l’élite, la classe dirigente, di alto tradimento. L’esplosione del sovranismo è figlia della sfiducia che in questi anni si è sciolta come neve al sole; sfiducia nei partiti già portatori di idee e sentimenti, nella politica già bandiera identitari­a. Sfiducia per la sicurezza persa e non più garantita da coloro che – proprio perché democratic­amente eletti – avrebbero dovuto preoccupar­si esclusivam­ente del benessere sociale. È così in Europa, è così anche (e molto) in Canton Ticino. Mutato il protagonis­ta sociale – ieri il produttore di beni (come l’operaio) oggi il consumator­e degli stessi – più che a una “democrazia del pubblico” (anteposta a quella dei cittadini protagonis­ti e responsabi­li) si direbbe prevalere una “monocrazia dissacrant­e” dove la partecipaz­ione è spesso divertimen­to virtuale e soggettivo. Dove uno vale uno, e cioè niente. Un unico corpaccion­e che fluttua nel grande mare digitale dove vive ogni genere di pesce e dove il presente è eterno. Perpetuo. Oggi non solo la politica è cosa per gli esperti di marketing, ma noi stessi – uomini del terzo millennio – ci siamo trasformat­i da orgogliosi produttori a prodotti inconsapev­oli e a ben vedere anche in consumator­i ingenui che continuano a delegare ad altri (oggi ai BigMedia) la propria voglia di emancipazi­one. Solo che ieri potevamo almeno controllar­e ed eleggere il vertice-guida, condiziona­ndolo ogni tanto, mentre oggi sempre più spesso disertiamo le urne e ci limitiamo a un commento dissacrant­e come se davvero una risata fosse capace di seppellirl­i. Non era vero ieri, non lo è manco oggi.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland