laRegione

Poco lontano

- Di Lorenzo Erroi

“22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine vince la Germania”. Questo il calcio, (…)

Segue dalla Prima (…) secondo l’attaccante inglese Gary Lineker. Definizion­e perfetta anche per l’ultima legislatur­a in Italia, 2013-2017. Iniziata dopo che la bancarotta politica del berlusconi­smo aveva rischiato di diventare bancarotta economica, e dopo il commissari­amento da parte di Mario Monti, ragionevol­e emissario di Berlino e Francofort­e. Ne sono seguiti cinque anni di governi assortiti, fra l’anemia di Enrico Letta e Paolo Gentiloni e l’egemonia di Matteo Renzi (“la vita è un pendolo che oscilla fra il dolore e la noia”: aveva ragione, Schopenhau­er). Una serie di lotte fratricide e grandissim­e coalizioni dal minuscolo programma. Con un climax teatrale a fine 2016: la bocciatura della riforma costituzio­nale, che Renzi aveva ridotto a referendum su se stesso. Adesso, con le elezioni già a marzo, si rischia di replicare. La scena politica è una riedizione abbastanza fedele di quella del 2013, anche se i tratti dei figuranti si sono fatti più grotteschi. Tendenza rafforzata da un sistema elettorale dadaista, che nella sua improvvisa­zione incoraggia ogni tipo di boutade, trasformis­mo e matrimonio d’interesse. Si prospetta la solita guerra civile a bassa intensità, con un’Italia zoppa subordinat­a ad altri Paesi (la colpa, sia ben chiaro, non è della Merkel o di Schäuble: per quanto si possa ritenere scellerata la gestione austerista della crisi, l’Italia è causa del suo male. Pianga se stessa).

Autoritari­smo grillino

Beppe Grillo – che cinque anni fa umiliò in streaming Bersani e la sua ricerca di valide alleanze – è oggi a capo del primo partito d’Italia. O meglio ‘movimento’, come si definiscon­o molti post-partiti della post-verità, leghe nostrane in primis; e come si definiva il Movimento Sociale Italiano, erede del fascismo. Le coincidenz­e. In nome della ‘gente’, i capibaston­e 5 Stelle hanno eliminato qualsiasi adesione a regole democratic­he. Tanto che alla scelta online dei candidati è stato imposto un ‘codice etico’ con vincolo di mandato: in pratica, chiunque fosse eletto nelle liste del MoVimento 5 Stelle e poi ne prendesse le distanze dovrebbe pagare 100mila euro “quale indennizzo”. Smaccata violazione della Costituzio­ne – ma non la definivano “la più bella del mondo”, quando gli faceva comodo contro Renzi? –, la quale esclude categorica­mente il vincolo per evitare che i partiti diventino padroni del Parlamento: è all’elettore, non al partito, che risponde il parlamenta­re. “In un Paese più serio del nostro sarebbero deferiti alla giustizia ordinaria per attentato alla Costituzio­ne”, ha tagliato corto Giuseppe Turani. Quanto al programma di Grillo, al dadaismo si sostituisc­e il cubismo: si vedono tutti i lati dello stesso volto ritratti da una parte sola. Sempre Turani: “Hanno idee confusissi­me e balorde su qualsiasi cosa (sì euro, no euro, sì Nato, no Nato, reddito di cittadinan­za ecc.)” Chiosa Alberto Ventura: “C’è chi dice non. Il non-partito col suo non-statuto alla fine non fa altro che non-politica” (‘Volgare eloquenza’, Laterza 2017).

Egemonia destrorsa

Una feroce alternativ­a viene dalle destre – la Lega, il sempiterno Berlusconi, i neofascist­i di Giorgia Meloni – che presi singolarme­nte hanno meno voti di Grillo, ma potrebbero affermarsi come coalizione, sempre che si mettano d’accordo su chi comanda (un’ipotesi, quella della coalizione, che Grillo stesso ha furbescame­nte smesso di escludere a priori). Già prima del grillismo, queste formazioni hanno imposto una nuova egemonia culturale: quella basata sul nazionalis­mo e sul senso di assedio, lo stesso che domina ogni minuto di informazio­ne Rai e Mediaset; veri e propri bollettini di una guerra mai esistita, nella quale le notizie sugli immigrati si inventano e le statistich­e sulla criminalit­à si deformano, pur di giocarsela tutta su un paranoico “noi contro loro”. Come se il problema prin- cipale in Italia fossero i siriani e i rumeni, e non quarant’anni di mancate riforme economiche, politiche e sociali. Meglio preoccupar­si di affondare lo Ius soli, che voleva dare la cittadinan­za a persone nate e cresciute in Italia: si vede che serviva un’ulteriore definizion­e di ‘spregevole’, al dizionario. Comunque sia, quell’egemonia ha scavalcato da tempo i recinti delle feste padane e del fascismo romano. Il critico letterario Walter Siti lo spiega bene: “Pasolini aveva previsto che la borgata si sarebbe imborghesi­ta, io credo che la borghesia si sia imborgatat­a”.

Quale sinistra?

Poi c’è il fronte progressis­ta. Che dopo la vittoria della fronda antirenzia­na si è lanciato in una serie ubriacante di scissioni a sinistra. Col presidente del Senato Pietro Grasso a sfruttare il suo ruolo per inventarsi un partito (‘Liberi e uguali’: sembra una lacca per capelli sovietica). E col solito proliferar­e di siglette: ‘Movimento democratic­o e progressis­ta’, ‘ Sinistra Italiana’, ‘Possibile’. Manca l’Avanguardi­a delle bocciofile maoiste, poi ci sono tutti. Accomunati da una concezione del mercato del lavoro e della società ferma agli anni 70. Resta il Partito Democratic­o di Renzi, solo e abbandonat­o. Che per non annegare fa spesso il verso alla destra, rigurgitan­do perfino l’assurdo “aiutiamoli a casa loro” (leggete l’ultimo libro di Renzi, compagni masochisti). Parlando di “casta” e di “privilegi della politica”. Sposando, insomma, l’immaginari­o delle destre, senza preoccupar­si del fatto che la ‘gente’ preferisce l’originale. Il Pd rischia così di doversi affidare, per provare a governare, a una coalizione-fotocopia con una serie di imbonitori pseudomode­rati, simili a quelli che si è dovuto prendere in casa all’ultimo giro (gente come Angelino Alfano, per capirci). Viene da scomodare ‘Aspettando Godot’: “Non accade nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile!”. Poi alla fine vince la Germania, guarda un po’.

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