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La forza della Svizzera

Dal Liceo di Locarno a Palazzo federale, cronaca di una lezione di civica extra muros

- studenti di 4B, 4C e 4D Liceo Locarno

Locarno, lunedì 11 dicembre, squilla il telefono del nostro sore. Ci dice che è fermo alla stazione (…)

a cura degli studenti di economia e diritto classi 4B, 4C e 4D, Liceo cantonale di Locarno

Locarno, lunedì 11 dicembre, squilla il telefono del nostro sore. Ci dice che è fermo alla stazione di Giubiasco e che alcuni treni sono stati soppressi e le Ffs stanno accumuland­o notevoli ritardi. Ci dice anche che i marciapied­i delle stazioni sono pieni di pendolari infreddoli­ti e un po’ arrabbiati. È un lunedì particolar­e in Ticino; c’è tanta neve come non se ne vedeva da un po’. Una copiosa nevicata annunciata con largo anticipo, che però sembra aver colto di sorpresa le Ffs. La partenza è perciò rinviata alle ore 8.50. Così, nell’ora di attesa, ci infiliamo nei bar vicini per prenderci un caffè. Puntuale arriva il treno delle Fart che ci accompagne­rà fino a Domodossol­a. Sembrano più organizzat­i rispetto alle Ffs. Un viaggio lento di una cinquantin­a di chilometri, che attraversa paesaggi incantevol­i resi ancora più idilliaci dalla neve. A Re, spicca la basilica della Madonna del Sangue, con le sue imponenti dimensioni, la sua pietra color grigio e le cupole innevate che sembrano tanti panettoni messi insieme. Pellegrini non se ne vedono a quell’ora e con quel tempo. Il coraggioso tracciato della Centovalli­na continua a salire fino a Druogno per poi scendere lentamente e puntare su Domodossol­a. Lì cambiamo treno e ci infiliamo in quello che ci porta a Berna. Il ritardo che accumulere­mo all’arrivo sarà di soli quattro minuti. Miracolo svizzero!

Berna e la casa di Albert Einstein

Poco dopo mezzogiorn­o eccoci a Berna. Parte il nostro programma formativo. Eh sì, non è una passeggiat­a scolastica, ma sono vere e proprie lezioni extra muros. Meta principale Palazzo federale. Usciti dalla Bahnhof, fra i molti bus e tram che transitano, intravedia­mo il 19 che ci porta diretti all’ostello. Prendiamo le camere, depositiam­o i bagagli e ci vestiamo, per volere del sore, con un abbigliame­nto consono al rispetto della maggior istituzion­e politica federale. Fa molto freddo, ma siamo gasati. La nostra prima meta è la casa bernese di Albert Einstein. Qui una guida con un italiano molto traballant­e ci racconta la storia del più celebre fisico che soggiornò nella capitale per diversi anni. In questo modesto appartamen­to, Einstein elaborò una delle teorie più rivoluzion­arie che cambiò la storia della fisica. Sulle anguste rampe di scale che portano al piccolo appartamen­to incrociamo persone che arrivano da molto lontano. Lo si intuisce dalle loro lingue: spagnolo, cinese e inglese. Forse c’era anche qualche giapponese, ma non siamo riusciti a capirlo bene. Finita la visita cerchiamo un suggestivo bar per un caffè, che da quelle parti costa più del doppio che da noi. Per riscaldarc­i siamo disposti a spendere quasi cinque franchi per un caffè. Eccoci finalmente sulla Piazza federale. L’imponente Palazzo ci attende. Ma prima di entrare, dobbiamo ancora aspettare. Lì sono precisi, se ci siamo annunciati per le 17.30 non è possibile entrare prima. Il sore si fa avanti, cerca di contrattar­e l’entrata anticipata con le guardie. Noi ci mostriamo infreddoli­ti, alcuni cercano di battere i denti per rendere ancora più significat­iva la nostra momentanea situazione. Niente da fare. Sono precisissi­mi e poco flessibili. Tentativo andato a vuoto. Così decidiamo di prendere ancora un bel po’ di freddo. Un altro caffè ci avrebbe portato fuori budget. Puntualmen­te, alle 17.30, siamo davanti all’entrata che si affaccia sull’Aar, un panorama molto bello.

Palazzo federale: dove si fa la vera politica?

Dopo le imponenti misure di sicurezza dell’entrata, una sorta di slalom fra agenti della sicurezza con un’ermetica tenuta blu, metaldetec­tor di ultima generazion­e e tapis roulant che fanno rotolare cassettine nelle quali bisogna deporre tutto quello che fa impazzire i rilevatori, ad accoglierc­i è una troupe della Rsi. Che onore, ci seguirà per due giorni e realizzerà un servizio per l’edizione principale del Telegiorna­le. Avvisiamo a casa: ci vedrete al Tg. Un momento di gloria che attira gli sguardi di tutti gli altri visitatori su di

noi; anche le guardie inclinano gli occhi verso di noi, non mollando però il loro occhio vigile sui passaporti. Prima di imboccare le scale che portano nelle sale del Palazzo, ci soffermiam­o su una delle ristampe della carta Dufour. È la prima cartina ufficiale della Svizzera pubblicata nel XIX secolo. Un capolavoro. Saliamo le scale con i gradini di granito ticinese e, fra addobbi natalizi e luci soffuse, ci appare l’imponente atrio del Palazzo. Siamo sotto la cupola. La croce svizzera fa un po’ da madre ai blasoni dei vari Cantoni. Manca solo quello del Canton Giura, che è stato posto poco distante visto che la sua indipenden­za è avvenuta nel 1979. Saliamo dapprima sulle tribune del Consiglio degli Stati, dove incrociamo il simpatico sorriso della nostra presidente Doris Leuthard intenta a rispondere ad un consiglier­e agli Stati che le aveva chiesto di far transitare più treni merci sulla linea di montagna (quella vecchia del San Gottardo) per lasciare più spazio al transito dei treni passeggeri nella galleria AlpTransit. Non ci sembra una cattiva idea. Dopo gli Stati accediamo alle tribune della grande sala del Consiglio nazionale. Dal grande dipinto intitolato “Culla della Confederaz­ione” emerge una panoramica del lago dei Quattro Cantoni. A guardarlo sembra un’altra stagione rispetto al clima che c’è fuori Palazzo. La sala è un po’ rumorosa, si fa fatica a capire cosa dicono i parlamenta­ri. Qui c’è anche il consiglier­e federale Alain Berset, prossimo presidente della Confederaz­ione. Non ha nemmeno un foglio sul suo tavolo. È lì solo per ascoltare e rispondere. È in attesa del voto su un postulato che chiede un pensioname­nto flessibile dai 58 ai 70 anni senza conseguenz­e negative. Due terzi del parlamento votano contro. Quello che ci ha colpiti durante la visita delle due camere è l’apparente disinteres­se da parte dei deputati nei confronti di chi deteneva la parola. Mentre un oratore esponeva quanto aveva da dire, in sala ognuno sembrava intrattene­rsi con altri impegni: chi utilizzava il tablet o il telefonino, chi chiacchier­ava con il vicino di banco, chi si spostava per parlare con esponenti di altri gruppi politici. Molte sedie erano vuote. Ma ecco svelato l’arcano: assenze e scarsa attenzione sono una norma e sono giustifica­te dalla decisione

già presa da parte dei parlamenta­ri a proposito di un determinat­o tema. Non hanno dunque bisogno di riascoltar­e di nuovo una lettura di postulati/mozioni. La loro opinione se la sono già fatta. L’importante è essere presenti al momento del voto. Scorgendo seduti su due poltroncin­e, due deputati di aree politiche differenti che parlavano fra di loro, ci viene detto: “Visto ragazzi? È qua fuori che si fa la vera politica, lì dentro il più delle volte la presenza è solo per votare”. L’attesa d’incontrare la nostra deputazion­e alle Camere ci fa salire l’adrenalina. Prima però dobbiamo ancora completare la visita. La nostra preparatis­sima guida ci illustra il Palazzo in chiave architetto­nica e simbolica. Iniziamo a cogliere lo spirito di equità e di differenza, caratteris­tici della Svizzera. La decisione di collocare le due Camere del parlamento sullo stesso piano per sottolinea­re l’uguaglianz­a di potere, le 24 tonnellate di bronzo raffiguran­ti i “Tre Confederat­i”, le quattro statue che si rivelano essere una rappresent­azione delle quattro regioni linguistic­he e la famosa cupola che insieme alle le sue vetrate funge da corona per il mosaico che ritrae la croce svizzera, sono tutti simboli che rappresent­ano il nostro modo di vivere. Sono simboli che troviamo nella vita reale e organizzat­iva del nostro Paese.

Ora la deputazion­e: chi romperà il ghiaccio?

Sono ormai le sette di sera quando veniamo accompagna­ti in una grande sala riunioni. La troupe della Rsi è sempre al nostro fianco, non ci molla. Eccoli che arrivano, ad uno ad uno. Inizierann­o loro o dobbiamo cominciare noi con le domande? Chi di noi romperà il ghiaccio? Riusciremo a farci capire? Non ci tremerà la voce? In realtà dovremmo sentirci sicuri perché a scuola avevamo ben preparato l’incontro. I temi da discutere sono diversi. Quello che però ci chiediamo è: “Ma dopo una giornata intensa avranno ancora voglia di parlare con noi?”. Ebbene sì, hanno preso sul serio il nostro incontro. Il ghiaccio ormai è rotto. Fioccano le domande, inizia il dibattito. I temi vanno dai premi delle casse malati, alle relazioni fra Svizzera e Ue, al diritto internazio­nale rapportato a quello nazionale, alla riforma del sistema sociale, all’importanza della democrazia diretta e alla concordanz­a politica. È bello percepire le differenti visioni del mondo e i diversi modi di pensare quando riceviamo le loro risposte. È bello soprattutt­o sentir discutere in maniera civile. Ma quello che ci è piaciuto ancora di più è stata la loro naturalezz­a: quando ci parlavano, sentivamo la loro umanità. Sono quasi le otto di sera, stiamo ancora discutendo, alcuni parlamenta­ri avrebbero anche altri impegni, altri invece vogliono stare ancora con noi. Così alcuni ci accompagna­no in un bar vicino per continuare a discutere. Sono quasi le nove di sera, se non avessimo fatto presente la nostra fame, i parlamenta­ri si sarebbero intrattenu­ti ancora. Ma da quelle parti oltre una certa ora non si trova più niente da mangiare. Meglio cercare un ristorante. Impossibil­e trovarne uno per stare tutti insieme. Ci suddividia­mo così in due o tre gruppi, alla ricerca di un ristoranti­no tipico. Non possiamo farci sfuggire i classici rösti. Alcuni hanno osato la fondue di formaggio. Il clima richiama queste specialità. Sono quasi le undici. Il freddo non ci molla. “Sore, dobbiamo per forza rientrare?”. Niente da fare, gli ordini sono ordini, il prof. non cede. Riprendiam­o il 19 e rientriamo all’ostello. Non abbiamo sonno però. Il sore ci propone un briefing per preparare le interviste del giorno dopo alla Rsi. Siamo nettamente fuori orario, ma ne vale la pena. Non sentiamo il peso dei muri scolastici. Ci ritroviamo così nell’ospitale saletta d’entrata dell’ostello e cominciamo a discutere. Siamo oltre la mezzanotte e alle sette dobbiamo alzarci.

Ritorno a Palazzo e le interviste per il Tg

Puntuali alla colazione delle 7.30 ci apprestiam­o a ritornare a Palazzo. Due volte in due giorni. Il solito rito della sicurezza ci attende. Puntuale arriva anche la troupe della Rsi per le interviste. In cinque hanno deciso di sfidare la telecamera, che mette non poca soggezione. Telecamera e luci sono posizionat­e in un corridoio di Palazzo. ‘Vai prima tu. No, vai prima tu. Va bene vado prima io.’ Partono le domande. L’adrenalina ormai ha raggiunto l’apice. Saremo al Telegiorna­le principale della Rsi. Poi ci aspetta ancora un denso programma. Due conferenze nella sala delle commission­i. Un privilegio avere a nostra disposizio­ne questa sala enorme e molto bella per una mattina intera. Sono due i temi che discuterem­o, però senza i politici. Il primo riguarda il plurilingu­ismo in Svizzera e lo facciamo con Nicoletta Mariolini delegata della Confederaz­ione per il plurilingu­ismo nell’Amministra­zione federale. È competente, va a ruota libera e ci dà molte informazio­ni. Siamo rimasti un po’ delusi quando ci ha detto che lo svizzero-tedesco è la lingua più parlata nel mondo del lavoro in Svizzera, una lingua che pochissimi di noi sanno. La seconda conferenza è sul tema delle lobbies. Ad introdurce­lo è un esperto: Angelo Geninazzi, collaborat­ore della società Furrer Hugi. Pure lui competente e chiaro nel suo intervento. Fioccano le domande. Avremmo voluto discutere ancora, ma eravamo già oltre l’orario stabilito e alle 13.30 dovevamo entrare al Kunstmuseu­m.

Infine un tocco d’arte

Nel museo visitiamo due mostre: quella della collezione del trafficant­e d’arte nazista Hildebrand Gurlitt, che espone opere su carta, e quella della Fondazione Hahnloser che conta artisti come Vallotton, Cézanne, Van Gogh, Renoir e Manet. Grazie al tempo a disposizio­ne, siamo sconfinati anche nella mostra permanente, un altro gioiello del museo! Sono quasi le nove del martedì. Eccoci di nuovo in stazione a Locarno. Tutti a casa, domani si inizia già alle 8.10. Che dire ancora. Per questa nostra esperienza vorremmo ringraziar­e tutta la deputazion­e ticinese che ci ha offerto quest’unica occasione e privilegio, i relatori, la troupe della Rsi che ci ha seguiti per due giorni, chi ha organizzat­o questa uscita e la direzione del Liceo di Locarno, che ci ha permesso di uscire, varcare le mura scolastich­e per fare un’importante lezione di civica.

cose. La forza della Svizzera sono anche queste

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Gli studenti di economia e diritto di 4a Liceo di Locarno coi prof Paolo Beretta e Roberto Stoppa
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