‘Come una mosca sul muro’
New York – ‘The New Republic’ lo aveva definito prudentemente “un reporter non convenzionale”, e di sicuro Michael Wolff non è un giornalista avvezzo al fact checking, alla verifica delle notizie di cui viene a conoscenza, pratica della quale l’élite del giornalismo statunitense mena gran vanto (salvo qualche distrazione come sulle “armi di distruzione di massa” dello sventurato Saddam Hussein...). E anche questa volta c’è già chi ha rilevato più di una incongruenza nella devastante narrazione del primo anno di Trump alla Casa Bianca. Dalla sua, tuttavia, Wolff ha una capacità riconosciuta di farsi accettare come interlocutore dai personaggi che si dedicherà a demolire. Accadde anche con la biografia di Robert Murdoch, che il mogul dei media internazionali tentò di bloccare a pochi mesi dall’uscita. E quando un grande manipolatore con la pistola incontra un giornalista con il fucile, il primo è un manipolatore morto. Anche in questa occasione – e lui stesso lo fa presente nel libro – Wolff ha praticato un giornalismo “ascolta-e-ricorda” – mesi passati ad osservare “come una mosca sul muro” – più che quello fatto di registrazioni e verifiche. Di qui le “libertà” che si è preso nel citare monconi di conversazione, bisbiglii, parole sfuggite. Che rendono un ambiente o un’idea con altrettanta efficacia di quanto sono smentibili da parte di coloro a cui sono attribuiti, sempre sul crinale tra pettegolezzo e indagine politica. “Sono arrivata sino al quarto emendamento, prima che il suo dito abbassasse le labbra e i suoi occhi roteassero indietro”, avrebbe dunque detto la ex consigliera di Trump Sam Numberg, ricordando quanto poco interesse il presidente avesse dimostrato “per un testo che conosce molto poco”. Mentre la più bella è quella secondo cui neppure Trump pensava che ce l’avrebbe fatta a diventare presidente. E la notte in cui invece capitò, Melania si sciolse in pianto, ma non per la felicità. Tutto smentito, of course.