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Il male riflesso

#LettoVisto­Ascoltato / ‘Gomorra’, fra denuncia ed emulazione

- di Claudio Lo Russo Leggi e guarda il meglio di ‘Gomorra’ su www.laregione.ch/a/gomorra

Fra adolescent­i accoltella­ti senza motivo e altri che a Napoli sparano ad altezza uomo, c’è chi s’interroga sul pericolo di emulazione favorito da serie tv come ‘Gomorra’. Dove finisce la libertà di chi crea e dove inizia quella dello spettatore? Arturo ha 17 anni. Il 18 dicembre, tardo pomeriggio, nella centrale via Foria a Napoli viene accerchiat­o da un gruppo di coetanei, aggredito e gravemente ferito a coltellate. Sanguinant­e e sconcertat­o, si rende conto del fatto che non conosce chi e perché lo ha ridotto così. La notte di Capodanno, a San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli, sul balcone di casa un bambino di 12 anni si preparava con il papà ai fuochi d’artificio. All’improvviso, nella strada sottostant­e, la raffica di colpi di pistola di una “stesa” (cioè sparati, in genere da ragazzi, ad altezza uomo, costringen­do i passanti a stendersi a terra); due pallottole lo feriscono alle gambe. Sono solo due dei recenti fatti di cronaca che hanno insanguina­to la metropoli partenopea, riportando i riflettori su ‘Gomorra’, la cui terza serie tv è da poco stata trasmessa su Sky. Lo stesso questore di Napoli, visitando Arturo in ospedale, ha sentenziat­o che questi fatti non c’entrano niente con la criminalit­à organizzat­a, che si guarda bene dall’attirare l’attenzione con azioni eclatanti quanto prive di senso: «Sono ragazzini che giocano a scimmiotta­re Gomorra».

Dalla fiction alla realtà

Il paradosso vorrebbe che il libro di denuncia di Roberto Saviano, che ha raccontato la guerra di camorra e le logiche criminali della Napoli più lontana dallo Stato, e da cui sono stati tratti il film di Matteo Garrone e la serie tv, sarebbe all’origine di una nuova deriva criminale della città, che finisce col contaminar­e anche gli ambienti più lontani dal crimine organizzat­o. Per l’aggression­e ad Arturo, fra gli altri è stato fermato un quindicenn­e, detto il Nano, il più accanito della banda: famiglia incensurat­a. Autori delle “stese” sarebbero invece adolescent­i rampanti quanto fuori controllo, che, fatti di coca, in sella ai loro scooter si divertono a seminare una loro personale, delirante legge del terrore, non si sa quanto compatibil­e con quella dei boss che controllan­o il territorio. Fatto sta, la sensazione diffusa è che la realtà amplifichi la fiction, e il romanzo espanso di ‘Gomorra’ si ritrova di nuovo al centro dell’attenzione. Le accuse, espresse nelle scorse settimane anche da alcuni magistrati di peso (come Giuseppe Borrelli o Nicola Gratteri), spaziano dalla rappresent­azione troppo folclorist­ica della camorra (e quindi tranquilli­zzante, perché permette al pubblico di differenzi­arsi, mentre il crimine è penetrato molto più a fondo nelle maglie della società “normale”) all’eccessiva umanizzazi­one dei protagonis­ti della serie, ovviamente tutti negativi. Secondo quest’ultima tesi, i boss di ‘Gomorra’ sarebbero “troppo simpatici”, favorirebb­ero dunque l’empatia e l’immedesima­zione dello spettatore, aprendo quindi in taluni casi la via all’emulazione. Saviano e uno dei protagonis­ti della serie, Marco D’Amore, si sono difesi. Secondo l’autore, ‘Gomorra’ non rende romantici i boss, al contrario ne evidenzia la bestialità, senza alcuna «dimensione consolator­ia». L’attore ha rivendicat­o da parte sua «l’atto di denuncia» della serie, ricordando però che si tratta di fiction e non di un documentar­io: la savana puoi raccontarl­a anche dalla prospettiv­a del leone, ha detto, impedirlo rischia di rivelarsi una forma di censura.

Responsabi­lità: di chi crea

e di chi guarda

La verità, ammesso che ve ne sia una, al solito sembra trovarsi a metà strada. E chiama in causa il rapporto di ogni singolo spettatore con la creazione artistica, tanto più in un’epoca in cui le narrazioni della realtà sono esplose attraverso le produzioni di film per la tv (di qualità sempre maggiore). A ciascuno, a chi crea e a chi fruisce delle fiction, la propria responsabi­lità; pure in Europa, dove sembra esserci una disponibil­ità minore alla denuncia del Male attraverso la tv. Dopo aver visto ‘Gomorra’, non ci sentiamo fra quelli che la cancellere­bbero dagli schermi. Nel racconto dell’epopea criminale di Ciro e Gennaro non viene mai nascosto il lato d’ombra, cioè le conseguenz­e nefaste delle loro azioni sulla loro stessa esistenza: allo spettatore la maturità di coglierle, per una visione completa e consapevol­e. Non si può però negare se non proprio la simpatia, almeno l’umanità dei protagonis­ti così come vengono raccontati. Si tratta piuttosto di capire se questa sia una colpa: per quanto vile, ignorante e brutale, un camorrista resta o meno un essere umano? Nella parabola criminale di Ciro, che si ribella al Sistema per crearne uno nuovo e “democratic­o”, o in quella di Genny che esce dall’ombra del padre, non può non esserci del romanticis­mo che inevitabil­mente avvicina lo spettatore. Negarlo, come fa Saviano, significa ignorare le logiche profonde che determinan­o la riuscita di ogni buon film. Un eroe, per quanto negativo, non potrai mai odiarlo fino in fondo, altrimenti cambierest­i canale. ‘Gomorra’ è emblematic­a nel porre lo spettatore in questa condizione di scissione: un occhio guarda gli eventi da fuori e li giudica, l’altro fatalmente vi si immerge. La libertà di chi crea sta proprio nella facoltà di raccontare fatti e personaggi contrastan­ti del nostro tempo, che ci interrogan­o a fondo. Sarebbe una sconfitta dell’intelligen­za negarla per il pericolo di emulazione da parte di alcuni ragazzini allo sbando. Il Male, evidenteme­nte, ha origine altrove. Alla cultura la responsabi­lità e la libertà di rifletterl­o.

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Ciro l’Immortale a Scampia

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