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A Trump il carbone

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Washington – Ai bambini cattivi il carbone. A Trump anche. La Ferc, l’authority federale dell’energia, ha cassato all’unanimità il piano di salvataggi­o dell’industria carbonifer­a annunciato con clamore da Trump all’ndomani della propria elezione. “La guerra al carbone è finita”, aveva proclamato, felice di avere sotterrato un lascito della presidenza Obama, l’abbandono del settore estrattivo, per limitarne l’impatto ambientale. Il programma di Trump è stato bocciato anche dai tre commissari nominati da lui stesso. “Una grande vittoria per i consumator­i, per il libero mercato e per l’aria pulita”, ha esultato Michael Bloomberg, tre volte sindaco di New York e oggi inviato speciale dell’Onu per il clima. La proposta presentata per Trump dal ministro per l’Energia Rick Perry prevedeva incentivi per le miniere di carbone e per gli impianti nucleari, motivando la mossa anche con la necessità di avere un potenziale energetico sempre all’altezza di inverni sempre più freddi. Il rilancio dell’industria del carbone, una delle principali promesse elettorali di Trump, era associato a quella di garantire l’autosuffic­ienza degli Usa in campo energetico e di generare nuovi posti di lavoro in un settore in cui l’occupazion­e è crollata ai minimi storici con non più di 50mila lavoratori. Una crisi drammatica: la produzione di carbone è caduta del 37% nel 2016 e le esportazio­ni sono in calo dal 2012. Ma la Ferc, la cui decisione è vincolante, ha detto di no al salvataggi­o. La motivazion­e sta nella necessità di non alterare la strategia seguita dalle autorità di vigilanza fin dagli anni 80 per garantire equilibrio sul fronte della concorrenz­a all’interno del mercato energetico. Un mercato sempre più competitiv­o in cui si rafforza la posizione del gas naturale e quella solare o eolica.

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KEYSTONE Ai cattivi

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