laRegione

È già ring elettorale

- Di Aldo Bertagni

La partita è apertissim­a e la posta in palio alta: la maggioranz­a relativa in Consiglio di Stato alle prossime elezioni del 2019. In primo luogo, ma non solo. Con un voto in più o in meno, fra dieci giorni in Gran Consiglio, potrebbe mutare (per quanto siamo solo al primo atto, poi dovrà seguire il messaggio governativ­o) anche lo schieramen­to dei seggi nella legislatur­a 2019-2023, perché presentars­i alle urne da soli o “apparentat­i”, congiunti – come tecnicamen­te si dice –, cambia parecchio. Lo sanno bene le forze politiche di destra e di sinistra che possono contare su eventuali alleati situati nello stesso schieramen­to. Detta in soldoni, oggi più di ieri (quando i rapporti fra “cugini” non erano proprio così lineari) con la possibilit­à di congiunger­e le liste, Lega dei Ticinesi e Udc (o La Destra) potrebbero aumentare il proprio potere elettorale e dunque il numero dei seggi, consolidan­do senza patemi gli attuali due scranni leghisti in Consiglio di Stato. Stesso discorso per Ps, Verdi e sinistra radicale (Pc); questi ultimi hanno necessità di rilanciare la propria presenza in parlamento e difendere l’unico seggio in governo. Nulla da guadagnare – e molto da perdere – invece per Plr e Ppd. I liberali radicali in particolar­e con la congiunzio­ne delle liste possono tranquilla­mente abbandonar­e – almeno sul medio periodo – la possibilit­à di riprenders­i il secondo seggio in governo perso nel 2011. Se nulla cambia, invece, la partita è giocabile e il risultato a portata di mano; non scontato, ma potenzialm­ente ottenibile. Rischia poco o niente il Ppd, a nostro giudizio, nel senso che congiunzio­ne delle liste o meno il seggio popolare democratic­o in Consiglio di Stato è decisament­e distante da bufere e tempeste. Per quanto, sempre meglio non rischiare consegnand­o ai concorrent­i diretti una chance in più. Così si spiegano gli schieramen­ti in campo che lo scorso dicembre in Gran Consiglio si sono divisi a metà come una mela (anche per via di alcune defezioni) con i due partiti di centro (Plr e Ppd) determinat­i a respingere l’iniziativa generica Filippini (La Destra) che chiedeva, appunto, il ripristino della congiunzio­ne delle liste per le elezioni cantonali e comunali, come già era quindici anni fa. Pari e patta, con ripetizion­e del voto il prossimo 22 gennaio. Come andrà a finire? Davvero difficile, visti i numeri, fare previsioni perché i deputati senza gruppo e i Verdi si sono a loro volta divisi fra maggioranz­a e minoranza. Sulla carta, tutto si decide per un voto o due. Un voto ad alta tensione – prova ne sia il “consiglio” di dimettersi, rispettato, a una deputata leghista non allineata – che già la prima volta ha agitato parecchio i capigruppo, intenti a richiamare gli assenti e a fare i conti. Una partita apparentem­ente distante dai veri interessi dei cittadini che non vedono – sbagliando – un diretto tornaconto. Una “rappresent­azione”, si dice, della vecchia politica troppo attenta ai giochi di potere e poco aperta alle esigenze degli elettori. E magari è anche vero, ma se capita – se arrivano a patire e dividersi in questo modo – una ragione ci sarà. Agli elettori, ovviamente, il compito e l’interesse di scoprirlo.

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