laRegione

Che razza di repubblica

- Di Erminio Ferrari

La “difesa della razza” (chissà se Fontana ricorda le leggi razziali d’epoca fascista?), la riapertura dei bordelli, l’eliminazio­ne dell’obbligo delle vaccinazio­ni, l’abolizione del canone televisivo, e, naturalmen­te, il taglio delle tasse. Siamo soltanto all’inizio, ma il carattere della campagna elettorale in vista delle elezioni legislativ­e italiane si va profilando con chiarezza. La si può osservare con giustifica­to sconcerto, ma si può anche tentare di interpreta­rla come l’evento che chiuderà definitiva­mente la fase della cosiddetta “seconda repubblica” introducen­do confusamen­te gli elementi di quella che forse un giorno chiameremo “terza”. La prima cadde per effetto di un combinato di sollevazio­ne popolar-giudiziari­a e del passaggio a un sistema elettorale maggiorita­rio. Dall’infamia e dalle macerie si erano a stento salvati pochi partiti di quelli che avevano concorso a fondare la repubblica (uno solo, a dire la verità, ed essendo a sua volta passato per l’imbuto della storia: il Pci, poi Pds, poi Ds), e paradossal­mente quello che i costituent­i avevano bandito dalla Costituzio­ne: i fascisti, seppur “post”. Gli uni e gli altri, comunque, costretti a misurarsi con le novità rappresent­ate dalla Lega e dal partito-azienda di Berlusconi, da un lato, e con l’irruzione della cosiddetta “società civile” sulla scena istituzion­ale, dall’altro: i Di Pietro e il carrozzone di saltimbanc­hi che si sono tirati dietro o hanno ispirato. Una compagnia di giro (equamente spartita tra le nuove sigle) che alternava il tempo rubato in parlamento e quello scialacqua­to in television­e. È durata una ventina d’anni, un po’ di più. Il tempo necessario a far sedimentar­e il mutamento profondo avvenuto nella società e nella politica: la prima dispersa in unità incomunica­nti o conflittua­li, come a dare ragione – a posteriori – a una certa Thatcher; la seconda svuotata dall’interno della capacità di rappresent­are e organizzar­e le istanze della società, e di proporsi come guida (per la conservazi­one o per il cambiament­o, a quel punto ormai non faceva più differenza), e ridotta a un sistema di formazione di consenso in vista di scadenze elettorali. L’abbaglio che ne ha accompagna­to la fine, e di cui è stata vittima consenzien­te una cosiddetta sinistra, fu che l’uscita di scena dell’uomo che quel ventennio aveva incarnato, avesse risolto la pendenza. Illusi. Il successivo interregno sembra essere soltanto servito alla suddetta sinistra (divisa tra il vacuo narcisismo di Renzi, i retori del risentimen­to e i fuoricorso movimentis­ti) per portare a termine il proprio inevitabil­e, inglorioso e colpevole suicidio. Che ha significat­o l’abbattimen­to dell’ultimo argine all’ondata di qualunquis­mo che sommergerà il prossimo parlamento. Non perché l’alternativ­a alla sinistra siano la palude o il caos, ma perché, per come è andata la storia dell’Italia repubblica­na, solo da quelle parti resisteva una pur stanca tradizione di conoscenza e capacità di essere istituzion­e e di garantire per la Costituzio­ne e la democrazia. Gli aspiranti fondatori del nuovo mondo non sanno che farsene di simili orpelli retorici e consideran­o a loro volta risolta la pendenza. Lo dimostrano il registro della propaganda e la scelta dei bersagli retorici: la disputa avviene nell’estesissim­o campo qualunquis­ta, dove si attingeran­no i voti decisivi. Consideran­do probabilme­nte che la liquidazio­ne della sinistra è cosa fatta, la sfida avverrà tra una destra e l’altra, il cui livello – umano e di pensiero – è grossomodo quello citato in apertura. Benvenuti nella terza repubblica.

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