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Processo ai due agenti: i testimoni non ricordano

Ieri l’interrogat­orio svoltosi alla Centrale di Camorino non ha fornito prove sulle presunte violenze contro un ladro rumeno

- Di Samantha Ghisla

Quattro ore d’interrogat­orio fuori dall’aula penale. È successo ieri pomeriggio nell’ambito del processo iniziato la mattina in Pretura penale a Bellinzona nei confronti di due agenti della Polizia cantonale che sono accusati di lesioni semplici, abuso di autorità e (per uno dei due) vie di fatto: rischiano una condanna a una pena pecuniaria di 90 aliquote da 140 franchi e a una multa da 2’500 franchi. Sei poliziotti sono stati sentiti dal giudice Marco Kraushaar dentro un garage della Centrale di Polizia a Camorino, dove il 23 gennaio 2015 quattro pattuglie intervenut­e per il fermo di tre ladri rumeni a Faido sono rientrate con i malviventi e la loro vettura. La denuncia nei confronti dei due agenti – di 33 e 34 anni, uno dei quali già condannato per abuso di autorità a una pena sospesa – è giunta da uno dei fermati, che ha accusato i poliziotti che lo hanno perquisito di aver utilizzato maniere forti e più precisamen­te di avergli tirato dei pugni alla testa e alla schiena, oltre ad alcuni calci dietro le ginocchia che lo hanno fatto cadere a terra. Il rumeno sostiene di aver ricevuto anche una ginocchiat­a nelle parti basse e, dopo essere stato sbattuto contro una parete, di essere stato stretto al collo con la mano da parte di uno degli agenti. «Non ricordo», «non lo so», «non sono sicuro». Sono state queste le risposte più ricorrenti da parte dei sei testimoni a tre anni di distanza dall’intervento. Gli imputati, difesi dagli avvocati Andrea Bersani e Brenno Canevascin­i, respingono ogni accusa e negano di essersi rinchiusi in un locale separato dal garage al fine di malmenare il ladro. Tutti gli agenti che erano presenti – alcuni impegnati a perquisire l’auto e il bottino, altri occupati a tenere d’occhio i ladri – hanno dichiarato di non aver sentito urla né visto scene di violenza. «Altrimenti ce ne saremmo ricordati», hanno aggiunto. Un elemento chiave per l’inchiesta condotta dal procurator­e generale John Noseda – riaperta a seguito di un ricorso alla Corte dei reclami penali contro la decisione della Procura di emettere un decreto d’abbandono – riguarda la posizione in cui i due agenti hanno effettuato la perquisizi­one. Si trovavano in un angolo del garage oppure nel locale attiguo dove potevano agire indisturba­ti? Nei primi verbali d’interrogat­orio i colleghi avevano fatto riferiment­o a un altro locale. C’era anche chi aveva ammesso di non poter escludere che fosse successo qualcosa di losco. Una versione «influenzat­a dalla pressione non indifferen­te esercitata dall’interrogan­te», si è giustifica­to il teste. Ieri nessuno ha ammesso di aver visto i colleghi entrare nell’altra stanza; solo uno ha detto di averli notati sulla porta o al massimo appena al di là dell’uscio. Il processo continua oggi con l’intervento dell’avvocata Khouloud Ramella Matta Nassif in rappresent­anza dell’accusatore e le arringhe dei legali difensori, che si batteranno per l’assoluzion­e.

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