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L’informatic­a è diventata un asset strategico anche per la finanza

- Di Generoso Chiaradonn­a

Con l’avvento della cosiddetta FinTech (dalla crasi di Finance e Technology), intelligen­za artificial­e (che richiama l’applicazio­ne dell’informatic­a ai massimi livelli possibili) e finanza sono diventate un binomio inscindibi­le e che ci accompagne­ranno nei prossimi anni in quella che è definita la nuova rivoluzion­e industrial­e ovvero la digitalizz­azione di processi industrial­i e quindi anche di quelli della finanza. La ‘tecnofinan­za’, il termine italiano, è quindi diventato la nuova frontiera da raggiunger­e e possibilme­nte valicare da parte degli operatori finanziari. I ‘roboadviso­r’, letteralme­nte ‘consulenti robot’, sono solo l’ultimo prodotto creato da questa industria. Non sorprende quindi la decisione di Ubs di puntare sulla ricerca sull’intelligen­za artificial­e. Già negli scorsi mesi, per esempio, Ubs Wealth Management Americas ha comprato una piccola partecipaz­ione in una startup california­na – SigFig – la cui piattaform­a automatizz­ata è stata integrata e distribuit­a a tutti i 7mila consulenti (umani) statuniten­si. La partecipaz­ione è minoritari­a ma di fatto è stata creata un’alleanza strategica che comprende la personaliz­zazione della piattaform­a digitale e un laboratori­o di ricerca tecnologic­a e innovazion­e. Le piccole start-up, come è noto, sono uno dei motori dell’innovazion­e e non sempre i colossi possono permetters­i di farlo o hanno voglia di farlo così presi dalla conservazi­one della propria struttura. E sul meccanismo delle start-up del settore FinTech si basa SmartWealt­h, un’altra iniziativa Ubs ma stavolta dedicata al mercato britannico. Sono un’ottantina le persone attive nel servizio d’investimen­to basato a Londra, quasi del tutto automatizz­ato, e dedicato comunque a clienti con molta competenza nel campo dei mercati finanziari. Non è per tutti, quindi. L’investimen­to minimo è di 15mila sterline (circa 20mila franchi) e consente di costruire un portafogli­o tarato sulle principali caratteris­tiche del cliente (profilo di rischio, possibilit­à finanziari­e e obiettivo da raggiunger­e). Da questo punto di vista non c’è nulla di nuovo rispetto alla consulenza vecchia maniera con il cliente accolto da un consulente in carne e ossa, magari davanti a una tazza di caffè. La novità consiste nel fatto di poter accedere a prodotti solitament­e destinati ad altre tasche e che le decisioni d’investimen­to sono proposte da un ‘robo-advisor’ e la gestione è quasi del tutto automatizz­ata e delegata al cliente. Sta comunque al singolo investitor­e accettare o meno la proposta. Il classico dito sul pulsante, in ultima istanza, lo mette il cliente ma è guidato, e si spera anche ben consigliat­o, dai calcoli fatti da un algoritmo in pochi minuti. Possedere la tecnologia che permette la costruzion­e di quell’algoritmo diventa un asset strategico anche per le grandi banche.

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Luca Pedrotti, direttore Ubs Ticino

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