Buon viaggio, col dieci franchi
È come quando state per entrare in autostrada e vi cade l’occhio sull’indicatore del livello del carburante, accorgendovi di essere quasi a secco. Ecco. Quel milione e duecentomila franchi racimolato da Hugh Quennec (con l’aiuto dell’amministratore delegato Mike Gillis e dal responsabile del progetto del nuovo stadio del Servette, Peter Gall) grossomodo ha l’effetto di una banconota da dieci franchi al distributore di benzina. Basta per senz’altro fare qualche chilometro, ma di certo non per arrivare fino a destinazione. Al Servette, però, i conti in tasca non c’è neppure bisogno di farli. Infatti nello stesso comunicato stampa in cui Quennec e soci annunciano l’iniezione di liquidità, essenzialmente impiegabile per le spese di prima necessità (tenendo però anche conto, e questa è senz’altro la nota positiva, che in tutta questa storia non si è mai arrivati a parlare di salari), la proprietà granata annuncia serenamente che, nella peggiore delle ipotesi, la stagione alle Vernets si chiuderà con sei milioni di buco. E sarà anche l’ipotesi peggiore, ma sei milioni sono tanti: franco più, franco meno, è un terzo del suo budget. Cifre che fanno tornare alla mente le voragini del Kloten dell’era Gaydoul, appena qualche stagione fa: prima cinque, poi sei e infine otto milioni. Buchi che fu lo stesso imprenditore zurighese a coprire, prima di cedere il giocattolo ad altri. Il punto è che, nel frattempo, alla periferia zurighese la situazione non si è mica stabilizzata. Se è vero, com’è vero (visto che è stato lo stesso Hans-Ulrich Lehmann ad ammetterlo pubblicamente), che il presidente degli Aviatori è intenzionato a chiudere i rubinetti a medio termine. Ma questa è un’altra storia. Tornando a Ginevra, con un club addirittura in mora, visto che alla Città non pagava più neppure l’affitto dello stadio, la situazione è tanto più preoccupante perché la figura di Quennec, a proposito di navigazione in acque torbide, è indissolubilmente legata al mezzo naufragio del Servette del calcio. In primo luogo per il modo in cui Quennec governò il timone nel bel mezzo della burrasca. E adesso che comincia ad agitarsi anche il mare dell’hockey, non può non esserci chi teme il peggio. Per la comparsa delle cifre rosse, senza dubbio, ma anche perché il progetto del nuovo stadio anziché velocizzarsi sembra improvvisamente frenare. E Chris McSorley, in tutto ciò? Diventato nel frattempo ‘semplice’ direttore sportivo, sedici anni dopo aver sostanzialmente dato vita a tutto ciò, il cinquantacinquenne tecnico dell’Ontario continua a starsene dietro le quinte. Buono buono. Pure un po’ troppo, per uno stratega come lui.