laRegione

L’informazio­ne abbandonat­a

La decisione di Facebook di privilegia­re i contenuti personali potrebbe aumentare la diffusione di bufale Studiando cosa è accaduto nei Paesi che hanno ‘subito’ una sperimenta­zione simile, il New York Times teme una maggiore diffusione di disinforma­zione

- Di Ivo Silvestro

E dire che nei primi tempi i social media erano visti, per il loro potere di far liberament­e circolare l’informazio­ne, come uno strumento di liberazion­e e ribellione contro i regimi autoritari. Un po’ come le fotocopiat­rici e Radio Liberty che, negli anni della cortina di ferro, diffondeva­no nel blocco sovietico notizie sgradite al regime e contribuen­do alla caduta del Muro. Adesso troviamo Facebook chiamata a indagare su possibili influenze russe durante il voto sulla Brexit. Il parlamento britannico ha infatti trovato inadeguate le indagini già condotte dal social network che, stando alle accuse, si sarebbe limitato a controllar­e le reti attive durante la campagna presidenzi­ale statuniten­se, senza andare alla ricerca di nuovi utenti e gruppi come invece dovrà fare adesso. I social media sono insomma passati da strumento di emancipazi­one dei popoli a mezzo di diffusione di fake news per scopi economici (guadagnare con la pubblicità) o politici (influenzar­e l’opinione pubblica). E al di là degli scenari geopolitic­i dietro a queste accuse, è interessan­te chiedersi che cosa stia realmente facendo Facebook per contrastar­e le fake news. La risposta sembra: poco. La decisione, annunciata nei giorni scorsi, di privilegia­re i contenuti di amici e conoscenti penalizzan­do quelli ‘istituzion­ali’ di gruppi e aziende – tra cui le testate giornalist­iche – potrebbe infatti portare a una maggiore diffusione delle bufale. È quanto afferma il New York Times che analizza che cosa è accaduto nei Paesi che hanno ‘subito’ una sperimenta­zione iniziata nei mesi scorsi (e che non è chiaro quando finirà) che prevede la completa separazion­e, in due pagine diverse, dei contenuti editoriali dagli aggiorname­nti dei contatti personali. Ora, le due operazioni sono diverse: da una parte una questione di priorità, dall’altra la separazion­e. Però gli effetti potrebbero essere simili, e se è davvero così abbiamo un grosso problema. “Le persone di solito non condividon­o noti-

zie noiose che contengono fatti noiosi” ha spiegato un giornalist­a della testata slovacca Denník N che ha perso, con la sperimenta­zione di Facebook, il 30 per cento degli accessi. Un caso emblematic­o riguarda una bufala delle più classiche: il migrante che, aiutato da un passante, per ringraziar­lo lo avvisa di un imminente attentato. La bufala è circolata condivisa tra gli utenti; le smentite – compresa quella della polizia – sono rimaste confinate nella scheda degli aggiorname­nti istituzion­ali. Ancora peggio in Cambogia e Bolivia, dove l’effetto è stato silenziare testate di opposizion­e e organizzaz­ioni non governativ­e, tanto da dare l’impression­e, riporta il New York Times, che le autorità

avessero messo al bando i contenuti politici da Facebook, diventato per molti abitanti di quei Paesi una, se non addirittur­a la, fonte di informazio­ne indipenden­te. Magari tra qualche anno ci si abituerà a trovare altrove informazio­ni. Nel frattempo, non c’è neppure la possibilit­à di protestare o avere informazio­ni: come ha raccontato il responsabi­le web del quotidiano di opposizion­e Página Siete, tutto quello che ha ottenuto è stata una risposta automatica da parte del servizio clienti di Facebook. Che, come ogni azienda privata, ovviamente si occupa prima di tutto dei clienti paganti. Già, perché si è detto che quelli rilevati dal New York Times sono gli effetti di una sperimenta­zione limitata ad alcuni Paesi che non coincide con le nuove priorità stabilite da Facebook per tutti gli utenti. Ma c’è una cosa in comune: la possibilit­à, pagando, di superare le limitazion­i. “Difficilme­nte riusciamo a trovare i soldi per pagare i nostri giornalist­i, figuriamoc­i la diffusione su Facebook” ha commentato la responsabi­le di un’altra testata boliviana, Los Tiempos. Le autorità, invece, non avrebbero problemi a pagare maggiore visibilità per le proprie notizie di parte. Il rischio, ha concluso la redattrice di Los Tiempos, è di polarizzar­e ancora di più l’opinione pubblica riducendo la pluralità dell’informazio­ne.

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Intanto Trump assegna il Fake News Award

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