Ambrì, è un caso per due
Da una parte ‘Benji’ Conz, dall’altra il neoacquisto Karhunen. ‘Cosa cambia? Per me nulla. Ma per il club è un’ottima scelta’.
Ambrì – Un’idea Luca Cereda se la sarà pur fatta. Logicamente, però, se ne guarda bene dallo spifferarla. Alla vigilia di un doppio turno reso ancor più significativo dalla sfida di domani alla Valascia con il Langnau. Se la domanda è scontata (a chi tocca star fuori?), ora che dalla Finlandia è arrivato anche Tomi Karhunen, la risposta non è banale. Anche perché gli stranieri adesso sono sei, con Emmerton che ha ripreso ad allenarsi appieno e comincia a mordere il freno. «L’ho detto pure ai ragazzi – spiega il coach biancoblù –. Il punto non è solo la gestione dei portieri, bensì quella di tutto il gruppo. Infatti tale decisione avrà un impatto sull’assetto tattico, quindi dovrà essere ponderata di partita in partita».
‘Chi? Io, in principio’
«Chi gioca stasera? Io, in principio. Ma dovreste chiederlo all’allenatore» dice un ‘Benji’ Conz che pare quasi stupito dalla domanda. Di sicuro, però, il ventiseienne portiere giurassiano non è sorpreso dall’arrivo di Karhunen, con cui d’ora in poi dividerà il posto da titolare. «Ero stato avvisato con largo anticipo, quindi sapevo del suo arrivo. Ed è una situazione del tutto normale – aggiunge –. Sapendo che Sascha (Rochow, fresco di firma a Rapperswil, ndr) non voleva restare, la squadra doveva cautelarsi. Per forza. Anche semplicemente pensando ai possibili infortuni. E per come la vedo io quella di ingaggiare Karhunen è stata un’ottima scelta da parte del club». Per te d’ora in poi cosa cambia? «Nulla, direi – aggiunge, spontaneo –. Perché continuerò ad allenarmi come sempre, impegnan-
domi come facevo prima. Semmai, questo sì, l’arrivo di Tomi mi ha permesso di conoscere una persona nuova». Ciò non toglie che questa per te è una stagione ricca di cambiamenti: prima hai diviso il posto con Descloux, poi con Rochow e ora con Karhunen. Senza dimenticare che all’interno di una squadra i portieri fanno un po’ gruppo a sé. «Per come la vedo io, è positivo che ci sia concorrenza, a patto che sia sana. Devo però dire che in vita mia raramente ho avuto problemi con dei colleghi. E se c’è sintonia è più facile lavorare, perché ci si può sostenere a vicenda».
Infatti, in una stagione tanto lunga, prima o poi i momenti delicati arrivano. E tu questo campionato come lo stai vivendo? «Un po’ come il resto della squadra, e nel complesso direi che le cose non vanno troppo male. Infatti ogni volta in cui ho avuto qualche passaggio a vuoto, poi sono riuscito a riprendermi in fretta». Le tue statistiche parlano di un 90,22% di riuscita: voi portieri, quelle cifre le guardate? «Personalmente non mi focalizzo troppo sui numeri. Certo, sarebbe meglio avere delle percentuali elevate, ma preferisco vincere una partita con l’89% di parate, piuttosto
che perderne una col 92%. Detto questo, non bisogna scordare che i conti si fanno alla fine». Certo che il vostro è davvero un ruolo particolare... «È vero, il portiere vive un po’ in un mondo a sé. E pur se in pista non è solo, quando sbaglia qualcosa dietro di lui ci sono soltanto i pali della porta che possono ancora dargli una mano. Forse è vero, siamo davvero un po’ speciali, ma non quanto uno si possa immaginare...». Resta il fatto che per farsi sparare addosso dei dischi di gomma alla velocità di 160 km/h, un po’ particolari bisogna pur esserlo... «La verità è che col tempo ci si abitua,
siccome è una cosa che ti succede fin da quand’eri ancora un bambino. Ma chiedete un po’ a quegli attaccanti o quei difensori che, a stagione finita, negli ultimi giorni prima che venga smantellato il ghiaccio, decidono di cimentarsi per una volta tra i pali...». Succede? «Sì, certo, capita che qualcuno voglia provare. E si vede subito che non sono abituati, perché gli tremano le gambe». Tra tutti quelli che hai visto all’opera tu, chi se l’è cavata meglio? «Claudio Moggi direi, ai tempi di Langnau – risponde sorridendo, dopo averci pensato su –. Lui non era poi così male».