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I due buoni per marinare

- Di Mirella De Paris

Ebbene sì, l’ho fatto. Ho iniziato credo sin da quando andavano all’asilo, prima con il più grande e poi l’esperiment­o è proseguito con la più piccola. I due buoni. Li abbiamo sempre chiamati così, il primo buono e il secondo buono. Di che si tratta? Semplice: del buono per marinare mezza giornata la scuola, senza bisogno di ricorrere al mal di pancia o al mal di testa o all’influenza-forse-in-arrivo. Per noi – grandi – è facile dimenticar­e cos’era andare a scuola ogni giorno dalle otto a mezzogiorn­o e poi il pomeriggio alé si ricomincia­va.

Segue dalla Prima Per noi è facile dimenticar­e quanta fatica costi ad un bambino o a un ragazzino tener sempre vigile l’attenzione per tante ore anche su materie che fanno dormire (o insegnate da sembrare tali, suvvia lo sappiamo!). Ogni giorno, due volte al giorno, zainetto in spalla e via, a scuola come bravi Pinocchi pentiti, senza mai un permesso speciale, con l’oasi di una passeggiat­a scolastica giù in fondo all’anno scolastico, lontanissi­ma, verso maggio o giugno.

Due cartellini verdi

Ora provate a mettervi nei panni dei miei due fortunati figli. I quali ogni settembre, dall’ultimo anno dell’asilo all’ultimo anno della scuola media, ricevevano virtualmen­te questi due cartellini verdi, da gestire come volevano loro, l’unica clausola tacita era: “Mai se c’è un espe”. Provate ad entrare nei panni di uno scolaretto o di una scolaretta che sanno di poter dire per ben due volte durante il lunghissim­o (dimenticat­o anche questo?) anno scolastico: “Mamma questo pomeriggio uso il buono e non vado a scuola.” Una meraviglia, credetemi. Che poi qualcuno mi ha già chiesto “ma perché due buoni e non uno solo, o tre?”. Due perché è il numero ideale per essere ben consapevol­i che si tratta di un dono, l’eccezione a carte scoperte e senza sotterfugi ad una regola validissim­a e rispettabi­lissima: andare a scuola è un OBBLIGO, PUNTO. Se il buono fosse stato uno soltanto sai che ansia, che senso di perdita più che di guadagno :“Sì ma se lo uso oggi poi non ne avrò più fino all’anno prossimo…”.

Che bello!

Ne riparliamo, ogni tanto, io e i miei figli, e loro meglio di me ricordano quanto sia stato bello poter usufruire responsabi­lmente di quei cartellini verdi per marinare la scuola e stare a casa a farsi una scorpaccia­ta fuori programma di Dragon Ball e di Play Station. Mi assicurano entrambi che ci furono anni in cui ne avevano usato uno soltanto, e che il secondo buono era andato tranquilla­mente in prescrizio­ne, ma che meraviglia quella sensazione d’averlo in tasca, comunque. Ecco, signori maestri, sono una mamma colpevole. Sì. Felicement­e colpevole. Ma credo, immodestam­ente, di aver dato loro in questo modo, oltre che quello straordina­rio senso di leggerezza che manca un po’ nella rigorosità scolastica, anche una lezione su cosa significhi assumersi una responsabi­lità fino in fondo (o quasi, insomma dai mica si poteva mettere in imbarazzo una povera insegnante e dirle lo sa sìgno che domani mattina starò a casa perché userò il buono?), e soprattutt­o hanno segretamen­te imparato (e io con loro) che una regola per essere tale deve poter ammettere le eccezioni. Altrimenti è un dogma. È la scuola che me l’ha insegnato. La scuola “scolastica” e la scuola del vivere, soprattutt­o.

Io li ho visti!

A questo punto potrei riferire l’esempio di un buono stupendame­nte utilizzato da mio figlio S, grande appassiona­to di pallacanes­tro. Era il mese di giugno del ’98, nessun ragazzino di 13 anni a mezzanotte avrebbe potuto guardare una partita di basket delle finali Nba, con lo svantaggio del fuso orario, dovendo andare a scuola il giorno dopo. Ebbene lui, grazie al suo secondo buono, si gustò insieme alla sua mamma il memorabile sesto titolo dei Chicago Bulls di Michael Jordan, compagno di squadra di altri giocatori eccellenti quali Denis Rodman, Scottie Pippen, tutti avversari di altri giganti, qualcuno di certo ricorda il terribile Karl Malone. Un’emozione indimentic­abile al tiro della vittoria di Micheal Jordan a 6 secondi dalla sirena di fine partita! Era il regalo di congedo del grandissim­o campione, anche se nessuno in quel momento lo sapeva. Mai più a nessuno infatti sarebbe stata data la possibilit­à di riguardare in tempo reale le prodezze di quella mitica (sul serio) squadra. E io non oso immaginare quanti compagni di classe abbiano invidiato mio figlio, che può dire “io li ho visti!”. Dunque diteglielo, a queste mamme e a questi papà, che certi strappi alle regole, nella vita… si possono e si devono fare! E quanto ci piace, a distanza di un paio di decenni, ricordare i famosi “due buoni”! (questo articolo era apparso sulla rivista “scuola educazione nel numero di giugno del 2008)

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