Il fascino dell’inedito, esuberanza contro mito
Un paio di accenni di nervosismo, che gli perdoniamo, in quanto figli della tensione a volte traditrice, e poi via, spedito verso la 43ª semifinale Slam della carriera, la 14ª a Melbourne. Con quello sguardo grintoso al suo coach, ogni volta che Roger Federer affonda il rovescio, restituito a miglior vita dalla cura Ljubicic. Come se gliene fosse riconoscente, ogni volta che il colpo che passa per “punto debole” gli regala un quindici (mai virgolette furono più necessarie, giacché di debole Federer non ha niente, ma proprio niente). E gliene ha procurati tanti, di punti, contro il possente Berdych, uno che per restare a galla il rovescio dell’avversario lo deve per forza cercare sistematicamente. Potrebbe anche funzionare, tale tattica, se non fosse che, così facendo, presta il fianco, lasciando campo libero al contrattacco del basilese, letale anche in occasione degli scambi prolungati. Decisi, appunto, dalla sua arma in più, quel rovescio che lo ha riportato sul tetto del mondo. Nei pressi della vetta che rappresenta il prossimo traguardo. Un obiettivo, il trono mondiale, che passa dalla difesa del titolo a Melbourne, dove trionfò all’inizio del suo clamoroso 2017 che gli regalò anche l’ottavo Wimbledon.
Segue dalla Prima «Gliel’ho un po’ portato via, il primo set», ha ammesso Roger, conscio delle difficoltà incontrate nella prima frazione, presa di petto da Berdych, presentatosi in forma smagliante, forte di due successi spediti contro Del Potro e Fognini, liquidati in tre set. L’ha subìto, Roger, ma lo ha vinto, il primo set (ha annullato due palle di set al ceco), specchio del suo attuale stato di grazia. È l’arte di porre rimedio, di contrastare le difficoltà uscendone comunque vittoriosi. In parte è innata, in parte la si coltiva vincendo, e vincendo ancora. Una condizione fisica, tecnica e mentale splendida – una volta scaricato l’alone di nervosismo iniziale – l’ha poi spinto al successo anche nella seconda e nella terza frazione. Tutto sommato agevole, una volta sistemati tutti i dettagli del suo tennis, che quando gira a pieno regime non ce n’è per nessuno. Nemmeno per gli avversari in grande forma, e in fiducia.
Allievo e maestro
È quasi un assioma, questo, ma siccome ogni turno rimescola le carte, sarà il prossimo test, e il prossimo avversario, a certificare lo stato di grazia del numero due al mondo, serissimo pretendente al trono di Nadal. Se Federer-Berdych ha il retrogusto del déjà vu, non solo per l’esito, bensì perché sono anni che se le danno, Federer-Chung di domani mette a confronto due differenti generazioni. Lasciamo stare gli stili e il tennis in generale, ovviamente diversi. Soffermiamoci semmai sull’anagrafe e sui rispettivi percorsi. Chung – rappresentante della cosiddetta “next gen” – ha praticamente appena cominciato. Federer la parte importante della sua carriera l’ha da tempo alle spalle, benché sia lungi dall’idea della pensione. Ventenne, il coreano ha mietuto vittime illustri: Zverev e Djokovic su tutti, ma anche Sandgren, pur sempre meritevole di un posto negli otto eletti del torneo. Dalla sua ha gambe, morale e quel senso di leggerezza tipica di un’età in cui si può ancora osare senza troppi retropensieri, con la garanzia di avere davanti a sé molte altre occasioni, dovesse andare male. Federer, dal canto suo, scoprirà un avversario contro il quale non ha mai giocato, del quale però conosce perfettamente i pregi, per averlo già studiato. Mica possiamo rimproverargli di guardare lontano, lui che lontano ci va pressoché sempre, benché debba focalizzarsi sempre e comunque su una partita alla volta. Non è presunzione, semmai è forza dell’abitudine. La bella abitudine a vincere. Tra le qualità esibite da Chung, spicca la straordinaria mobilità. Ne sarà anche stato impressionato, ma tale dote è propria anche allo stesso Federer, in barba ai 37 anni che compie in agosto. Tonico e reattivo come nei giorni più lieti, velocissimo negli spostamenti e abile a convertire in vincenti punti che parrebbero assegnati all’avversario, il basilese sul piano atletico non sfigura, al cospetto di un giovane rampante, atteso domani alla prova più dura. Un conto sono gli altri, tutti gli altri. Altra storia è quando davanti ti si para un certo Roger Federer, oltretutto in quelle condizioni lì. Dalla sua ha che, pur essendo la prova più dura, in caso di vittoria otterrebbe gloria e consacrazione, ma nel caso gli andasse male il suo magnifico percorso non ne risentirebbe affatto. E avrebbe una carriera intera per riprovarci.