Rifugiati a scuola in ditta
Agricoltura, ristorazione, logistica, ausiliari d’ospedale, meccanica di produzione. Sono i cinque settori dove il Cantone vorrebbe inserire giovani rifugiati. Dall’autunno parte un progetto nazionale. In 4 anni saranno formati 150 giovani. Ma in Ticino, dal 2016, ci sono già due progetti per formarli a scuola e in azienda. Ve li raccontiamo in due puntate.
Feruz, 19 anni, eritrea, porta una felpa rosa che la fa sembrare una bambina, adora i dolci e vorrebbe lavorare in una pasticceria: «Non al banco perché sono timida e non mi sento sicura con l’italiano, ma in panetteria a fare cornetti». Ahmad, 18 anni, ama il cricket e viene dall’Afghanistan, dove seguiva una scuola di corano, vorrebbe diventare chef: «Sto imparando l’italiano, vorrei studiare anche il tedesco. Vedo un futuro per me in Svizzera, vorrei fare il cuoco anche se il mio sogno da piccolo era costruire case», dice. Infine Yordanos, 24 anni, eritrea, che adora fare le pulizie. «Vorrei diventare aiuto cuoca, lavare i piatti e sistemare la cucina. Sto imparando l’italiano, mi piace molto studiare la matematica. Voglio diventare indipendente», dice la donna, che è sposata (ma senza figli) in Eritrea. Tutti sono ammessi provvisoriamente e vivono in appartamento. Sono tre dei 10 rifugiati (dai 17 ai 25 anni) che in settembre hanno iniziato il secondo pre-apprendistato del progetto ‘Ristor’apprendo’ (nato nel 2016), organizzato dall’impresa sociale Sostare di Sos Ticino. Un progetto pilota al quale se ne affiancheranno altri. Nei prossimi 4 anni, il Ticino inserirà almeno 150 giovani rifugiati in 5 settori: ristorazione, settore ausiliario ospedaliero, logistica, agricoltura e meccanica di produzione (vedi sotto).
Su 12, nove fanno l’apprendistato
Siamo andati al ristorante Casa del popolo per capire come funziona il progetto che propone un percorso formativo nella ristorazione con una preparazione pratica e scolastica in vista di un apprendistato in vari ambiti. Costo: 200mila franchi l’anno per 12 ragazzi. «Tre quarti della spesa sono coperti da fondi pubblici», ci spiega la responsabile Pelin Kandemir Bordoli. La responsabile di Sostare ci illustra i risultati del primo ciclo, quello iniziato nel 2016: «Su dodici rifugiati che hanno fatto il pre-tirocinio, nove stanno ora seguendo un apprendistato in vari settori (addetti cucina, ristorazione, aiuto muratore, uno è alla ditta Regazzi)». Ma, per tre non ha funzionato. «C’era chi aveva problemi di apprendimento e viene sostenuto in un altro percorso di integrazione socioprofessionale. Purtroppo due persone non hanno voluto iniziare l’apprendistato per paura o perché avevano altri obiettivi. Con loro abbiamo terminato il rapporto di formazione», spiega. Incidenti di percorso che in futuro si cercherà di evitare per dare la possibilità di formarsi a chi è pronto. L’impegno è notevole per tutti.
Altri dieci sono in formazione
«I dieci ragazzi che hanno iniziato il pretirocinio nel 2017 sono suddivisi in due gruppi per competenze linguistiche e scolastiche di base. Fanno in alternanza una settimana intensiva di formazione scolastica (lezioni di italiano, cultura generale, conoscenze del territorio, matematica, informatica) e una settimana di pratica e socializzazione al lavoro (tecniche legate alla ristorazione, ma più in generale al mondo del lavoro). «Questi giovani sono spesso soli, senza una rete familiare
e vanno supportati per raggiungere la loro autonomia», spiega. All’inizio c’è tanta diffidenza. «C’è tutto un rapporto di fiducia da ricostruire, spesso l’adulto per loro non è una figura rassicurante». Il progetto andrà valutato per capire se è efficace: «Per ora l’alternativa è lasciarli senza prospettive. Senza qualifiche non hanno possibilità di trovare un lavoro».