laRegione

La ricerca presenta il conto

Università di Ginevra: incentivi finanziari alle case farmaceuti­che per lo studio di nuovi antibiotic­i

- Di Fabio Barenco

Carlo Balmelli: la resistenza dei batteri cresce più rapidament­e di quanto impieghino i nuovi farmaci ad arrivare sul mercato

Premi per un valore complessiv­o di 800 milioni di dollari annui per l’immissione sul mercato di nuovi antibiotic­i. È di questa portata l’incentivo suggerito da un consorzio internazio­nale di ricerca guidato dall’Università di Ginevra (Unige) per rendere più attrattivi lo sviluppo e la ricerca in questo ambito. Così facendo, sostiene un comunicato dell’Unige diffuso ieri, nei prossimi 30 anni potrebbero essere prodotti da 20 a 30 nuovi preparati che rispettano l’utilizzo responsabi­le e l’accesso equo del prodotto. Il problema è noto: «Alcuni batteri sono diventati resistenti praticamen­te a tutti gli antibiotic­i – dice il dottor Carlo Balmelli, responsabi­le del servizio centrale di prevenzion­e delle infezioni dell’Ente ospedalier­o cantonale, a ‘laRegione’ –. In questi casi ci troviamo in una situazione nella quale non si può curare il proprio paziente. Alle ditte farmaceuti­che si chiede quindi di risolvere questa situazione». A causa dei batteri resistenti agli antibiotic­i, in Svizzera muoiono ogni anno centinaia di persone e nell’Unione europea circa 25mila. «Il fenomeno si osserva a livello mondiale: ci sono zone nelle quali certi tipi di infezioni non si riescono quasi più a curare. Il problema è che la resistenza dei batteri aumenta più rapidament­e di quanto impieghino i nuovi antibiotic­i ad arrivare sul mercato», afferma Balmelli. Lo scopo di incentivar­e lo sviluppo di nuovi preparati è quindi quello di «continuare ad avere medicament­i che siano effettivi per curare le infezioni». Ma perché i batteri diventano sempre più resistenti? «È la loro strategia di sopravvive­nza. Però evidenteme­nte anche l’utilizzo massiccio e inappropri­ato degli antibiotic­i favorisce questo fenomeno», sottolinea il medico. «Un esempio di uso improprio è la somministr­azione di antibiotic­i per ogni tipo di infezione delle vie respirator­ie, in particolar­e in inverno, quando si sa che sono quasi sempre virus a causarle. Oppure quando un paziente non rispetta le indicazion­i del medico sull’uso e la durata della cura. O addirittur­a quando si prendono senza l’avviso medico», precisa Balmelli. «Secondo alcuni studi, in Svizzera il problema non è però così esteso: la popolazion­e sembrerebb­e sapere come si utilizzano in modo appropriat­o». E che dire dell’utilizzo di antibiotic­i nel mondo animale? «Quello che si sa è che certi tipi di resistenze nei batteri (che in parte si sono poi trasmesse all’uomo) si sono sviluppate dal trattament­o di animali con antibiotic­i. Ma non è l’unica causa: le resistenze si sono anche sviluppate negli ospedali, mentre di altre non conosciamo con precisione l’origine». Anche secondo l’Organizzaz­ione mondiale della sanità la resistenza agli antibiotic­i è una delle principali minacce per la salute pubblica nel mondo. È quindi necessario svilupparn­e nuovi. «È questo che si chiede alle ditte farmaceuti­che. Poi una volta sviluppati bisognereb­be usarli il meno possibile, cioè solo quando è strettamen­te necessario e quando si sa che servono a combattere determinat­e infezioni batteriche. Questo proprio per preservarn­e l’efficacia e per ritardare il più possibile lo sviluppo di una resistenza da parte dei batteri», precisa Balmelli. Secondo questo progetto è però necessario incentivar­e le case farmaceuti­che a produrre nuovi antibiotic­i: «Le ricerche e lo sviluppo costano centinaia di milioni. Poi quando il prodotto è finito i medici chiedono che venga utilizzato il meno possibile. Per questo motivo è necessario dare incentivi alle ditte farmaceuti­che», conclude Balmelli.

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TI-PRESS Un uso improprio rende i batteri resistenti

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