Domande e risposte sulla No Billag
Proviamo a rispondere alle interessanti domande del signor Aurelio Ferrari (laRegione del 5 gennaio 2018) in merito all’iniziativa “No Billag”, poiché crediamo che sia utile anche ad altri elettori. Non esiste un’analisi economica approfondita sugli effetti che provocherebbe un’eventuale accettazione dell’iniziativa, ma esistono vari studi sull’impatto economico delle radioTv attuali, in primis lo studio del Bak Basel Economics Ag, intitolato “Effetti economici della Rsi” e datato 27 gennaio 2017. Il primo dato che ne emerge, è che su 1,2 miliardi di franchi di canone percepito a livello nazionale dalla Ssr nel 2015, di cui solo 58 nella Svizzera italiana, la Rsi ha ottenuto ben 242 milioni. Dalla vendita di spazi pubblicitari, la Rsi ha invece incassato 10 milioni di franchi. Un Sì a “No Billag” abolirebbe “de facto” anche se non “de jure” il servizio pubblico, provocando la chiusura della Rsi poiché gli introiti pubblicitari sarebbero insufficienti a coprire anche in minima parte il suo budget. Persino un’ipotetica “Micro-Rsi Sa”, rinata dopo la liquidazione praticamente dettata da un Sì all’iniziativa, ben difficilmente potrebbe competere con le grosse emittenti straniere (ad es. Mediaset, Sky, Canal Plus) per aggiudicarsi le future concessioni che “No Billag” vuole mettere all’asta. Una volta azzerato il servizio pubblico, molti dei programmi spariranno e non sarà più possibile disporre di un’informazione regionale sulle nostre radio o alla televisione (Quotidiano e Telegiornale). Va da sé che allo sport, uno dei punti di forza del nostro servizio pubblico (con oltre 5’000 ore di diretta annuali e altre 7’000 in differita!), spetterà una sorte analoga. Quanto alle emittenti locali (TeleTicino, R3i e Rft) dovrebbero perlomeno dimezzare l’offerta attuale. I programmi di informazione, intrattenimento, sport, cinema e musica prodotti nella Svizzera italiana scompariranno dunque in gran parte. Anche i distributori come Swisscom o Upc, non potranno offrire un’alternativa, in quanto sono distributori e non produttori di contenuti, a differenza delle radio e televisioni svizzere. Per dirla altrimenti, un conto è un abbonamento che finanzia le (costose) reti via cavo, i server per la diffusione e le “box” per la ricezione radiotelevisiva, un altro paio di maniche è produrre documentari, informazione, intrattenimento, cinema e trasmissioni sportive. Ecco, il canone a 30 franchi mensili serve a finanziare il secondo e non il primo, che costa invece 60, 70 o 80 franchi al mese per un cavo e un sistema di distribuzione che non produce contenuti ma può rivendere (nella forma della Pay Tv) quelli prodotti da altri. Una chiusura (ma anche una drastica e brusca riduzione) delle emittenti pubbliche e private provocherebbe nella Svizzera italiana circa 1’700 licenziamenti, tra diretti e indotti, con gravi problemi di ricollocamento e disoccupazione. Inoltre, dal 2019 verrebbero a mancare sul territorio della Svizzera italiana circa 200 milioni di franchi che giungono ora dal resto della Svizzera, che creano lavoro sia presso le radioTv che presso 850 aziende ticinesi (dai servizi di sicurezza, ai servizi di pulizia, dalla ristorazione alle aziende audiovisive). Riteniamo giusto rispondere a un’altra importante domanda: cosa ci guadagneremmo invece dall’abolizione del servizio pubblico? È vero, ogni economia domestica avrà 1 franco in più al giorno da spendere come vuole. La scelta è quindi semplice: chiudiamo le nostre radioTv per tenerci 30 franchi al mese per famiglia (una modesta cena al ristorante per una persona) o scegliamo di continuare sostenere le nostre radio (Rete 1, Rete 2, Rete 3, Radio Fiume Ticino e Radio 3i) e televisioni (La 1, La 2 e TeleTicino) che creano lavoro nella Svizzera italiana e fanno un servizio per la Svizzera italiana? La nostra convinzione è che noi tutti abbiamo poco o nulla da guadagnare e molto più da perdere in termini economici, sociali e culturali con la scomparsa del servizio pubblico e delle nostre radioTv. Seppure convinti che il sistema radiotelevisivo necessiti di una riforma, che avverrà comunque, riteniamo senza esitazione che si debba a votare No all’iniziativa il prossimo 4 marzo. Il mal di testa lo si cura dal medico con un’aspirina, non sul patibolo con la ghigliottina.